Niente è paragonabile a quello che
succede dietro le quinte di un teatro prima di uno spettacolo di
danza: tutù appesi alle porte, ragazze incastrate in spaccate per
riscaldarsi, gruppetti che ripassano in ogni angolo, gente che si fa
foto coi costumi di scena, nuvole di lacca e gel, trucchi sparsi
dappertutto. Casino incredibile sul palco, si urlano imprecazioni
benauguranti. Poi suona la campanella e cala il silenzio rotto solo
dal rumore di piedi veloci che entrano in scena.
Sipario.
Poco più di 15 anni fa una compagna di
classe mi disse che si era iscritta a danza in una scuola dove c'era
un maestro bravissimo e fighissimo e voleva provare a convincere
qualcuna di noi a frequentare le lezioni con lei. In quel periodo
uscivo da un anno completo di fisioterapia e avevo veramente voglia
di fare qualcos'altro, così ci provai. Era il 1997.
Fu amore a prima vista. Decisi di
iscrivermi subito al corso e di recuperare tutto quello che avevo
perso dall'inizio dell'anno. Da allora sono passati circa 16 anni e
ancora la passione non è scemata. Metà della mia vita l'ho passata
in una sala di danza, sono andata a scuola, mi sono diplomata, ho
finito l'università, fatto un master, cambiato fidanzati, case,
amici, fatto e disfatto progetti “bellici” di vita, il tutto
immersa in una nuvoletta di pece e sdraiata sul parquet.
Non sono brava, non sono eccellente, ma
non mi sento neanche tanto una schiappa. Diciamo che mi impegno
tanto, ecco, questo si... Ho buona memoria, cosa non di poco conto
quando sei su un palcoscenico a ripetere una sequenza di movimenti
decisi da un altro, con centinaia di occhi puntati addosso. E' una
dote che aiuta abbastanza. Non sono la tipica ballerina dei sogni,
quella leggiadra, magrissima, avvolta in una nuvola di tulle rosa
confetto. Io non studio danza classica, non vado sulle punte, non
metto il tutù. L'unico che ho messo era nero, corredato di calze a
rete, bustino e tacchi alti. Il cigno nero del marciapiede in
pratica.
La cosa materiale che mi è rimasta di
tutti questi anni di danza è proprio lo scatolone di costumi che ho
in camera. Ci sono pantaloni di pelle (finta), tutone di jeans,
stivali col tacco, migliaia di paia di calze a rete di ogni larghezza
prive del piede, maglie in stile anni '80, bustini sadomaso, tute di
lycra con cerchi in vinile anni '70, ciglia finte medie, lunghe,
lunghissime, con strass, dreadlocks posticci e colorati, sciarpine
color carne e molto molto altro.
La cosa immateriale che mi è rimasta è
una serie interminabile di ricordi. Il primo fra tutti è che a danza
ho conosciuto Black, la mia persona. Era il 1999 e da allora va
avanti “questa lunga storia d'amore” che si è coronata con tanto
di matrimonio con anello di plastica di Hello Kitty. Abbiamo formato
fin da subito un'associazione a delinquere per lo spaccio della pece
e di make-up per saggi e spettacoli, nonché per l'intrattenimento
interno alla lezione stessa di danza. Mai dirci “Dovete
interpretare di più”, potrebbe essere l'ultima cosa che fate. Mai
due personalità così diverse e così opposte potevano unirsi meglio
a favore di una coreografia: lei gira, io faccio le spaccate; lei
solleva, io vengo sollevata (da lei normalmente). Unite facciamo la
danzatrice perfetta. Perfetta intesa di coppia, opposte anche nelle
reazioni più banali nella vita: una insegna diplomazia all'altra che
ricambia con gioiose jam-sessions di faccia da culo. Chi delle due
faccia una cosa piuttosto che l'altra lo lascio alla vostra fantasia.
Una delle due è più stronza nell'immediato, l'altra sulla lunga
distanza. Se una persona sta “sul culo” ad una, potete star certi
che al 90% lo sta anche all'altra. Insomma, è nata un'amicizia
bellissima fin da subito, che ci ha fatto bene come persone e come
potenziali danzatrici.
La danza mi ha reso la persona che sono
e mi ha insegnato la disciplina e il senso fortissimo dell'impegno e
della parola data. Non si può dire “Per lo spettacolo ci sono” e
poi mollare. In una coreografia non sei da solo, nemmeno quando balli
un assolo. Dietro c'è il lavoro di un sacco di persone e se un
danzatore decide di non ballare più un assolo serve un sostituto. E
non è sempre facile trovarlo. Se ha una parte in coppia e decide di
non farla più, esclude il suo compagno dalla coreografia, se ha una
parte in un terzetto, in un quintetto o quello che è, e non lo fa
più deve sapere che sta incasinando anche gli altri. Non è un
obbligo, è chiaro, ma è un'azione che ha delle conseguenze, che può
modificare (spesso in peggio) l'idea iniziale del coreografo e di uno
spettacolo. Non è facile essere sostituiti come in una partita di
calcio. Siamo sempre tutti utili e nessuno indispensabile, ma ognuno
con caratteristiche sue irripetibili. Il valore della parola data e
dell'impegno ci deve essere. Per cui se un danzatore vi dice che non
può saltare una lezione di danza così alla leggera, non prendetelo
per pazzo. Ha dato la sua parola a tante altre persone e la sua
assenza può creare delle difficoltà. Esempi: c'è una presa a
provare e se manca uno non può provare nemmeno l'altro; l'insegnate
spiega un nuovo pezzo di coreografia che sarà costretto a riprendere
alla lezione successiva rallentando la classe. Nella danza, studiare
da soli non è esattamente come studiare l'aoristo perfetto da soli.
Il secondo lo puoi imparare, ti metti sulla sedia, impari le regole,
la coniugazione, le particolarità e al massimo hai qualche dubbio.
Non puoi imparare una coreografia se qualcuno non te la insegna e,
più che avere dubbi, hai il vuoto. E' come un attore che non prova a
teatro. E non c'entra molto il fatto che si tratti di una semplice
scuola, l'impegno a livello morale è sempre lo stesso. C'è chi
direbbe che in fondo si tratta solo di un hobby e che non ne vale la
pena di preoccuparsi così tanto. Non è solo l'essere o non essere
un hobby, è la passione e la voglia di farlo e di farlo bene. E per
farlo bene servono costanza e impegno. Ognuno nella sua vita ha una
passione a cui non riesce a dire di no, sia essa la Nutella, il
violino o un'arciconfraternita religiosa. Ogni passione ha le sue
regole e richiede il suo impegno, il nostro livello di passione ce li
farà rispettare da sé, anche quando ci prendono per pazzi, anche
quando ripassiamo nel nostre coreografie sul bus e scandiamo le cose
da fare in otto tempi, perfino quando una canzone sentita da lontano
ci fa saltare sulla sedia e ricordare i passi a distanza di anni. E
niente potrà eguagliare la sensazione del momento prima di entrare
sul palcoscenico: un misto tra “Chi me l'ha fatto fare pure
stavolta” e “Aprite gli occhi, ciechi!”. La danza è stata il
mio appiglio in momenti difficili, stressanti, di solitudine. Sapere
che esisteva una cosa, uno spazio della mia anima che non poteva
essere rovinato da niente e nessuno mi dava tranquillità. Ho ballato
prima dell'esame di maturità, prima della laurea, dopo essere stata
scaricata dal fidanzato, lasciando che la mia mente sentisse soltanto
la musica e che il mio corpo sentisse l'energia fluire nei movimenti.
Un respiro profondo prima di entrare in scena,
una pacca sul sedere e
un “merda” sussurrato all'orecchio,
entri sul palco,
si apre il
sipario,
guardi il pubblico,
ti gira la testa,
fai il primo passo e
sei la MUSICA.
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