La osservavano da tempo, dall’alto sembrava davvero piccola. Ma i suoi occhi no, erano immensi, arrivavano fino a cielo. Non sapevano perché le attirasse così, ma non potevano fare a meno di spiarla un po’ ogni sera. “Anche lei guarda noi” si dicevano per giustificarsi. Ogni notte la vedevano nel giardino di casa sua, al buio. Amava il buio, amava vedere solo il profilo delle cose, “è l’essenziale”, diceva a una bambina che l’accompagnava nelle sue lunghe notti all’aperto. Ridevano, correvano, cantavano, nel gioco sembravano coetanee. Quando si faceva tardi veniva il tempo delle storie e si adagiavano su un dondolo, la bimba con la testa poggiata in grembo alla donna. Loro provavano a coglierne discorsi, sembravano inventare le storie più incredibili dell’universo, ma parlavano troppo piano perché si sentisse fin lassù. Spesso invece la vedevano con un’altra donna, sedevano una accanto all’altra sul dondolo e bevevano birra. Parlavano fitto fitto e ridevano. Quelle risate volavano in alto, tanto che nascondevano tutte le altre risate della sera. In alcune notti guardava il cielo con un uomo. Questa volta era lei che posava la testa sul suo grembo e ascoltava le sue storie, fino al momento in cui, sorridendo, gli tappava la bocca e iniziava a raccontare, mentre lui le accarezzava i capelli. Poi guardavano insieme in alto per scambiarsi i sogni. A volte arrivavano degli amici e ballavano a piedi nudi sull’erba, altre volte tacevano all’improvviso ed entravano in casa. Nel giardino restava però a lungo la luce dei loro sorrisi. C’erano notti in cui si riuniva con dei vecchietti, ed erano gli unici ai quali cedeva il dondolo e che stava ad ascoltare senza ricambiarli con mille parole. Altre notti stava sola e guardava in su con un brillio negli occhi, mormorando qualche nenia. Osservando dall’alto il suo sguardo giocavano a capire chi fosse, come si chiamasse e provavano a ricostruire la sua storia e quella dei suoi ospiti. Avevano deciso di chiamarla Luna, perché era chiara e sorridente, ma raramente si riusciva a decifrare il suo sorriso. Doveva vivere sola, ma era molto ospitale, pensavano. Sul tavolo accanto alla finestra si vedevano ogni sera molti piatti, bottiglie di vino, e fiammelle danzanti. Attraverso i vetri della cucina, affacciata sul giardino, si vedeva passare ogni genere di persona, ma il meglio avveniva sempre fuori, quando si spegnevano le luci e lei si toglieva le scarpe e conquistava il suo dondolo. Uscendo staccava una fogliolina dalla menta del vaso sul davanzale e ne respirava lentamente il profumo, se la buganvillea arrampicata sul pergolato le offriva dei fiori ne coglieva uno e se lo metteva tra i capelli. Poi guardava in alto a cercare il loro sguardo e loro si stupivano di come in tutto il brulicare di vita che da lassù potevano osservare indisturbate, da alcuni mesi fossero rapite solo da lei. Eppure era così, più degli amanti nascosti sulla spiaggia, più delle macchine nelle strade trafficate del litorale, più delle piazze piene di ragazzi nelle calde notti estive, loro volevano conoscere tutto di lei e dei suoi gesti. Dentro la casa la vita passava come in ogni altro luogo, ma in quel giardino, con le luci spente, “ci portiamo solo l’essenziale”, come aveva detto un giorno alla bimba.
Da qualche giorno però non incontravano più i suoi occhi sul dondolo. Da qualche giorno sul tavolo sotto la finestra si vedeva un solo piatto. La luce in cucina si spegneva presto, la finestra non si apriva per innaffiare la menta sul davanzale con la caraffa di vetro. La buganvillea stava sfiorendo al caldo di agosto e il giardino non si illuminava di racconti, carezze e sorrisi. Ma la notte del dieci, quando ormai non ci speravano più, uscì. Erano tutte occhi per poter esprimere un desiderio, tra vedere e non vedere a san Lorenzo si fa così. Uscendo dalla cucina si tolse le scarpe, passando vicino alla menta la vide secca e non ne prese una foglia. Non guardò la buganvillea e non si mise sul dondolo, ma si sdraiò direttamente sull’erba umida. Non mormorava nenie che sembravano uscite da una favola, ma una melodia triste e lenta. I suoi occhi grandissimi brillavano, fissando il cielo che le circondava, aspettando che una lacrima luminosa lo squarciasse. Finalmente la scorse, chiuse gli occhi e pensò fortissimo al suo desiderio. “Che cosa avrà sperato?” Pensarono. Anche loro aspettavano di vedere un brillio per i loro desideri, ma riuscivano a guardare solo lei. Quand’ecco che la loro Luna riaprendo gli occhi fece cadere una lacrima sull’erba. Brillò così forte che nascose tutte le lascrime del mondo. Chiusero gli occhi e pensarono tutte insieme: “che la pioggia non lasci morire la menta”. Allora lei si alzò, andò in cucina, aprì la finestra e bagnò le piante sul davanzale con l’acqua rimasta nella caraffa. Il giardino brillava ancora di speranza. Tutte le stelle sorrisero.
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