In nocte Sancti Laurentii
Erano anni, forse dieci, forse
cento, o chissà, che sulla terra nessuno aveva più visto il cielo. Non c’era
più memoria del sole, della luna, delle stelle, dell’arcobaleno, delle nuvole,
delle albe, dei tramonti. Tutto era avvolto in una nebbiolina grigia ed
uniforme, satura di umidità. Persino il mare. Persino la brughiera (dicono che
una volta esistessero i prati, ma, forse, si era persa la memoria anche di
questi) e gli animali sembravano grigi, spenti da quell’atmosfera monotona, che
rendeva il giorno tanto simile alla notte, il mattino al pomeriggio e alla
sera. Ed erano grigie le città, i villaggi. Dicono che al principio, quando
scomparve il sole, la gente, dipingesse di giallo, rosso, viola, verde, blu,
arancio, lilla, rosa, azzurro, avorio, indaco, turchese i muri delle case. Ma
ora neanche i vecchi ricordavano cosa fossero i colori e i nomi che fino ad
allora li avevano identificati divennero parole vuote in bocca a visionari e
sognatori. Non era facile neanche calcolare il passare del tempo: gli orologi
degli osservatori astronomici mondiali sembravano ancora precisi, anche se non
c’era modo di dirlo con assoluta certezza.
Secondo il calendario, era circa
metà estate ed era notte quando una ragazza e due ragazzi, sui tredici anni,
entrarono per la prima volta nella sala delle “Storie e Leggende” della
biblioteca del loro villaggio. Quella sala era vietata alla maggior parte della
popolazione: ci potevano entrare coloro che avevano superato i cinquant’anni,
previa autorizzazione del Primate del villaggio. Ma gli adulti avevano cose più
importanti da fare. Ci potevano entrare gli studiosi che si impegnavano a non
rivelare, neanche sotto tortura, cosa fosse scritto in quei libri. Ma mai e poi
mai si poteva permettere che vi entrassero dei ragazzini curiosi e ficcanaso
come quelli!
Il bibliotecario addetto a quella
sala era molto vecchio. Nessuno ricordava quanti anni avesse. Era cieco e i
pochi capelli, che ancora incorniciavano il suo viso, erano bianchi. Candidi.
Non come quelli di tutto il resto dei vecchi, che erano grigi. Ma bianchi. Si
diceva che il vecchio ricordasse i colori, ma doveva essere una leggenda,
perché tutti sapevano che era cieco da tempo immemorabile. E pare che
ricordasse anche le storie contenute nei libri della sezione della biblioteca
che gli era affidata, ma, forse, le inventava, perché i ciechi non leggono. Gli
era stato permesso di lavorare lì a due condizioni: che non si allontanasse
dalla sala e che non raccontasse a nessuno quelle storie assurde. Lui aveva
accettato, anche se a malincuore, perché i vecchi hanno bisogno di un motivo,
di una missione, per chiedere ogni notte agli dei di essere lasciati sulla
terra un giorno di più e coloro che non sono in grado di vedere, hanno bisogno
di un luogo ben conosciuto, dove svolgere il proprio compito. Lui trascorreva
tutto il suo tempo all’interno della biblioteca, ma non riusciva a fare a meno
di raccontare, di tanto in tanto, come fosse il mondo prima che il cielo
sparisse. Un giorno i tre ragazzi, seduti al tavolo della sala di lettura, lo
videro chiacchierare con un amico e la moglie, venuti a trovarlo alla ricerca
di un libro sui rimedi popolari contro i reumatismi, e, incuriositi, si misero
ad ascoltare i loro discorsi. Parlavano delle lacrime di qualcuno, non avevano capito bene di chi. E dicevano (ma
perché così sotto voce?) che piovono dal cielo come scie luminose e velocissime
nelle notti di metà agosto. Non riuscirono a cogliere altro nel discorso dei
tre vecchi, ma fu allora che decisero di trovare il modo di entrare nella sala
proibita.
Studiarono un piano precisissimo:
si sarebbero nascosti nel ripostiglio e, dopo la chiusura, avrebbero atteso il
silenzio dentro e fuori dall’edificio. A quel punto la biblioteca sarebbe stata
loro. Avrebbero potuto entrare dappertutto, curiosare tra gli scaffali,
prendere in mano qualunque libro attirasse la loro attenzione, anche quelli
della sala affidata alle cure del vecchio. E avrebbero potuto finalmente capire
cosa nascondessero i suoi racconti e i suoi discorsi a mezza voce. Andò tutto
secondo i piani: nessuno si accorse della loro assenza (le rispettive famiglie
pensavano fossero a casa di uno degli altri amici) e nessuno si accorse che la
biblioteca non era vuota, quella notte. Ma ciò che videro i loro occhi non si
può raccontare, perché il mondo aveva smarrito da tempo le parole adatte a
descrivere la meraviglia e lo stupore che si può provare dinanzi alle
illustrazioni a colori dei libri che popolavano gli scaffali della sala
proibita. Si ricordarono che il vecchio aveva parlato di “lacrime”, ma non
conoscevano il significato di quella parola. La sala proibita possedeva ancora
l’antico schedario. Era fatto da cassettini lunghi e stretti, uno per ogni
lettera dell’alfabeto, che contenevano tante schede, compilate a mano in grafia
gotica, una per ogni libro. Il cuore dei tre ragazzi batteva forte quando estrassero
quello che recava sul frontespizio la lettera L. Scoprirono che la parola aveva
tanti e diversi significati. Che sono trasparenti e cristalline le lacrime che
sgorgano dagli occhi delle persone che si commuovono per gioia o per dolore. Che
possono brillare alla luce del sole e che luccicano come diamanti a quella
della luna. Veramente dovettero istruirsi anche su cosa fossero i diamanti, il
sole e la luna. E li prese la nostalgia di sperimentarne il calore e il colore.
Catturati dall’ansia della
conoscenza, non si resero conto che la notte grigia era avanzata rapidamente,
che aveva lasciato posto al grigio mattino. Che la strada grigia si era
ripopolata, che la biblioteca era stata aperta e che il vecchio bibliotecario
cieco era alle loro spalle. Li trovò così, immersi nella lettura dei libri e
nella contemplazione delle loro illustrazioni. Dimentichi di tutto il resto.
Non si arrabbiò, non diede l’allarme. Sembrava li aspettasse da sempre. Che
sapesse che una mattina d’estate avrebbe trovato nella sala proibita della sua
biblioteca tre ragazzi con la nostalgia del cielo, che l’avrebbero portato a
riveder le stelle. Trascorse la giornata a raccontar loro tutto ciò che sapeva
sulle lacrime. Spiegò ciò che conosceva del cielo, del sole, della luna, delle
stelle, del mondo con i colori. E, quella notte, appoggiandosi ad un lungo
bastone, guidato dalle voci dei tre ragazzi, li condusse fuori, oltre il bosco,
fino ai piedi della Montagna. E da lì su, su e ancora su, oltre la nebbia
grigia, sopra le nuvole. Disse loro che, secondo i suoi calcoli, doveva essere
la notte del 10 di agosto, il cielo sarebbe stato splendente di stelle e, prima
del far del mattino uno sciame di meteore, dette Perseidi, avrebbero stampato
in quel cielo decine di scie luminose che, un tempo, gli uomini chiamavano stelle cadenti o lacrime di san Lorenzo.
Dopo le luci di quella notte
meravigliosa, si impressero negli occhi dei tre ragazzi anche i colori
dell’alba e, più tardi, quelli del cielo di una calda giornata di sole,
mitigata da una brezzolina di vento fresco. I colori dell’erba sui fianchi
della montagna, dei fiori, dei torrenti, delle nuvole in fondo. E così fu per
la notte successiva e per il giorno seguente. Ora il vecchio taceva. Erano i
tre ragazzi che cercavano di descrivergli il mondo che vedevano per la prima
volta. E lui disse che lo ricordava. L’ultima volta che aveva visto le stelle
era stato proprio su quella montagna, tanti anni prima. Tutto era avvenuto lì,
in compagnia dei suoi amici e di un vecchio, quando aveva tredici anni. Era
ripartito un mattino, subito dopo il sorgere del sole. Ma non ricordava bene.
Era passato tanto tanto tanto tempo.
Si dice che all’alba del terzo
giorno i tre ragazzi si misero in cammino per far ritorno al loro villaggio. Il
vecchio non andò con loro. Negli ultimi giorni della sua lunga esistenza voleva
godere sulla pelle del calore del sole e della fresca carezza della stelle. Si
narra che i ragazzi, tornati al villaggio, raccontarono di un mondo diverso,
dove ci sono i colori, dove di giorno splende il sole e la notte brillano le
stelle. Dove la luna guarda verso la terra con un sorriso benevolo. Dove, a
volte, piove. E dove, nelle notti di mezza estate, le stelle, che piangono per
la nostalgia della bellezza e della bontà, che un giorno popolavano il mondo,
sono così vicine da far arrivare fino a noi le loro lacrime. Si dice che, un
tempo lontano, quelle lacrime gli uomini le chiamassero lacrime di san Lorenzo e che il dieci di agosto fosse la notte
delle stelle cadenti. Ma non è sicuro
che siano storie vere. Forse sono leggende, che ricorda solo un vecchio
bibliotecario cieco di un villaggio come tanti, perso nella nebbia che avvolge
il mondo. Anche dei tre ragazzi nessuno si ricorda più. Ma lui afferma,
testardo, di essere stato uno di loro.
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