Il medico di Lollove
Ci sono luoghi che hanno una propensione, più spiccata di
altri, a conservarsi immutati. Come alcune belle donne, che invecchiano lentamente
e con grazia, senza mai tradire i tratti originari. Da noi, in Sardegna però, non
è inconsueto che l’inalterabilità sia il frutto dell’abbandono e dell’esodo.
Qui, nel borgo di Lollove intendo, in questo periodo, le stradine di
acciottolato imprigionato in una ragnatela di erba, profumano di mela cotogna,
e sono contornate dai rossi sorrisi delle melagrane. L’olfatto si confonde,
sopraffatto, ad ondate, dai frequenti effluvi dei suini che vivono liberi a
ridosso dei muretti bassi. Questi recinti circondano ogni casa, ed ospitano
animali ed orti. Le casette, piccole e in pietra, sembrano di secoli fa, e
all’interno, rivelano, ai nostri occhi, stanze inverosimili negli arredi radi,
come ricostruite. Da museo etnografico. Lo specchio delle porte e delle
finestre imbiancate o tinte in toni rossastri. Più numerosi gli animali degli
abitanti, gatti, cani, asini e maiali. E greggi che sfilano ordinatamente per
le viuzze contorte, come un soggetto eternato da un’immagine xilografica di Stanis
Dessy. Questo villaggio non si raggiunge a caso, in un errore di percorrenza della
strada. Si nasconde, e lo vede chi lo cerca. E si fa trovare. E si inneva,
d’inverno, racchiuso dal versante roccioso, pudico come il paesaggio in una
palla di vetro.
Quelle vie hanno conosciuto
una donna fuori dal comune, fin dal nome, Adelasia, che tradisce echi storici
importanti, da giudikessa di Torres. A me piace pensare non a caso, ma per un
presagio paterno. Un medico, una figura piuttosto rara allora, in assoluto e
ancor di più perché donna. Il primo medico condotto donna, alla quale era stata
affidata la cura di questo borgo. Solo dopo parecchie ritrosie, e ripetuti
tentativi di esclusione che non erano stati supportati da alcun cavillo legale
valido. Paesino sul quale aleggiava una maledizione. Sorto come sede
conventuale, le suore (non di clausura), pare, dimenticarono la loro prima
vocazione e si unirono ai pastori del luogo, dando origine, con la loro
discendenza, al primitivo nucleo abitato. Da qui la maledizione, lanciata dalle
suore nell’atto del loro allontanamento forzato, che il luogo non avrebbe mai
conosciuto una crescita degna di questo nome. Assimilato al mare, che si alza e
si abbassa con la marea, ma non cresce mai. La maledizione vive ancora, aiutata
negli anni da eventi luttuosi e pestilenze. La donna medico, inizialmente, veniva
accompagnata da un uomo a cavallo, per svolgere la sua professione. Sostituiva
un collega, assassinato in un agguato. Finché non si stancò e prese la patente.
Prima donna in Sardegna. Alle pochissime donne medico, allora, minimi erano gli
ambiti concessi nei quali potevano esprimersi, ginecologia o, tutt’al più
pediatria, seguendo il filo rosso del pudore e della morale che vedeva con meno
difficoltà una donna a visitare le donne. Ma lei era il medico di tutti, e
facilmente si guadagnò la stima dei suoi assistiti. Ebbe una vita ricca,
professionalmente e nel privato. Fu a lungo attiva nella prima Associazione
delle Donne Medico, e fece carriera. Amica stretta di Grazia Deledda, ebbe una
sorte molto diversa. L’eccezionalità del suo ruolo e del suo successo
professionale, non ha goduto del favore che la memoria sembra destinare ad
eventi importanti. O a uomini illustri. Spentasi negli anni ottanta del
Novecento, ultranovantenne, Adelasia Cocco è stata presto dimenticata, persasi nei
meandri della maledizione che aleggia sul luogo del suo primo impiego, dove
neanche una via o una targa è posta a celebrarne l’operato. O altrove, in
Sardegna. Solo a Nuoro, in una viuzza discreta, nascosta, come troppo spesso è
riservato alle donne. Ed io, dottoressa, avrei voluto avere il privilegio di
conoscerla, godere del suo sguardo che immagino ardito sul mondo, anche solo un
momento, magari mentre sfrecciava, in auto, su strade fangose a portare il suo prezioso
aiuto.
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