Donna Francesca,
emancipatrice di donne
Ho conosciuto Donna Francesca di
recente. E’ nata un giorno dopo di me, l’undici giugno, ma di 252 anni prima.
Ripercorrerne le tappe della vita è un privilegio, ed una continua sorpresa. Antiche
memorie orali pazientemente raccolte si intessono ai dati dei documenti, spesso
in lingua spagnola. Ne emerge una donna che non cercava nomea per sé, ma dotata
di un profondissimo senso pedagogico, di fede cristiana e solidarietà, lungimiranza
e intuito negli affari. Una figura alta e snella, grandi occhi nocciola, dalla
salute ferrea. Nata a Muravera da una ricca famiglia di possidenti, non si
crogiolò mai nella sua condizione di favore, ma ne fece uno strumento di
crescita per la comunità. Con tenacia, capacità ed un briciolo di
spregiudicatezza, che non guasta mai. Sposa giovanissima ad un celebre
giurista, Don Pietro Sanna, fin dal 1735, con una cerimonia di nozze celebrata
con grande sfarzo, alla quale prese parte tutta la nobiltà isolana. Da quel
momento si trasferì in Castello, a Cagliari, abitando due belle case, che
ancora si conservano, lasciando di sé un ricordo di amabilità, di cultura e
spirito pio. Leggeva molto, amava Metastasio e probabilmente accolse la
dottrina economica fisiocratica. Vissuta in momenti storici cruciali, seppe
accogliere le istanze di progresso agricolo promosse dalla Casa Savoia. Nello
sfacelo seguito alla dominazione spagnola, ed in mezzo ad un analfabetismo
imperante. Vide cadere in un cesto, in Francia, teste coronate, e l’ascesa al
potere di Napoleone. Impiantò una floridissima coltivazione di gelsi in vasti
territori di sua proprietà tra Muravera e Quartucciu. Studiò sempre e diede
vita ad una straordinaria impresa che produceva seta di ottima qualità, non
avendo rivali, sul mercato nazionale, anche perché seppe sfruttare le
favorevoli condizioni climatiche locali, che consentivano una schiusa dei
bozzoli anticipata, grazie al fiato caldo del vento africano che spesso ci
accarezza. Viaggiava in continuazione, con o senza il consorte, ma con il suo
pieno sostegno e stima. Nei suoi salotti cortesi si respirava il sapere, al
quale lei attinse, a piene mani. Profonde conoscenze botaniche si fondevano
armoniosamente con le innovazioni tecniche, con il ricorso ai telai più
avveniristici. Grande cura nella preparazione del personale, specialmente
femminile, per il quale destinava ingenti somme ed i migliori insegnanti. Nei
magazzini della sua grande casa a Quartucciu impiantò laboratori tessili
all’avanguardia, sottraendo molte famiglie alla povertà e fornendo le basi perché
le donne avessero un reddito proprio, apprezzandone immensamente il lavoro, e
favorendolo in ogni modo. Fu sua l’intuizione di trasformare un’attività
tradizionale delle donne in impresa. A chi si sposava regalava in dote un
telaio, perché l’attività procedesse, anche dopo le nozze, annullando la
dipendenza economica dal marito. Un telaio finì nelle mani della signora Lucia,
mamma di Emilio Lussu, ad Armungia. A Donna Francesca si deve l’ideazione di “su cambusciu”,
la cuffietta in seta e broccato, allora segno distintivo delle fanciulle più
agiate, in seguito adottata in molti dei costumi sardi tradizionali, e che
ancora definisce gli abitanti di Quartucciu. Moglie e madre amorevole, ebbe due
figli maschi, Raffaele e Stanislao, che non le sopravvissero, ed una figlia
fattasi monaca cappuccina ad Ozieri, con il nome di suor Maria Michela. Non
ebbe discendenza. Forse l’immagine sul soffitto altissimo della sua casa, in
via Lamarmora 61, la ritrae in forma idealizzata, come si usava allora, ma non
si ha certezza. Un’abitazione con un atrio sontuoso, con un arco a sesto acuto
di aria aragonese. Sul fondo si apre una scalinata punteggiata dal verde delle
felci, delle kenzie e dei falangi bicolori. All’interno salotti e tappezzerie
dove prevalgono i toni dell’oro, riflessi su enormi specchi, e che si schiudono
su graziosi balconcini in ferro battuto. Chissà, forse sul fondo delle sue
retine sono rimasti impressi per sempre quei colori cangianti di Feraxi e di
Colostrai, il fruscio delle canne su quelle acque dolci e salate, frammisti ai
toni della rena e delle saline, ed all’oro degli agrumi. O lo sfavillio dei
piumaggi delle innumerevoli specie dei volatili. O ancora, i tanti verdi arborei
e dei boschi ghiandiferi. Per questo la sua seta era così apprezzata. I suoi
abiti, fu infatti anche stimata stilista, vestirono la nobiltà di Casa Savoia,
e la stessa zarina Caterina di Russia, indossa una sua creazione, in un
ritratto che potete ammirare all’Ermitage. Noleggiava golette perché la sua “seda sardescha”
potesse raggiungere il nord d’Italia, specie l’area comasca.
Se vi capita di passare nelle
campagne di Quartucciu, a Pill’e Matta o Abruzzerì, lungo la strada, che in tre
giorni di cammino consente di raggiungere Muravera, vi imbatterete certamente
in qualche gelso sparuto. Soffermatevi: è il segno grato dell’eco della
memoria. Il nome di Donna Francesca Sanna Sulis è legato all’istituzione di
numerose Opere Pie, e per testamento, contestatissimo, di una prefigurazione di
quella che è ora abitualmente definita come “Assistenza domiciliare”, ed anche
sovvenzioni contro lo strozzinaggio dei prestiti dei Monti di Pietà, perché gli
indigenti non dovessero conoscere anche l’usura. Lasciò gran parte dei suoi
beni ai poveri di Muravera, perché non patissero la fame ed il freddo, si
sofferma spesso sul fatto che fossero vestiti adeguatamente, e potessero
studiare. Ora, con orgoglio, le sono stati intitolatati la Biblioteca Comunale
di Quartucciu, ed a Muravera il “MIF”, il Museo per l’imprenditoria femminile. Figura
di straordinaria modernità chiese di essere sepolta con semplicità, senza
sfarzo alcuno. Ma alle sue esequie, nei primi giorni di febbraio del 1810,
migliaia di cuori grati presero parte. Nessuno seppe portare avanti la sua
attività.
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