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L'amica della sposa by Red



Strane feste i matrimoni. Dove c’è chi piange di felicità e chi di malinconia. Perché ogni inizio è anche una fine, e ognuno legge la vita dalla parte che preferisce, o che riesce a vedere. I matrimoni appartengono agli sposi, e tutto il resto è un futile contorno, perché non c’è altro affetto o amore che tenga nel giorno di un per sempre che suggella un patto a due. Il contorno però deve esserci, e deve essere festoso, perché due è un numero meraviglioso, ma è un numero che non può bastare alla felicità. Per la felicità servono altri numeri, c’è chi sceglie dieci, chi trecentocinquanta e chi mille, ma comunque ognuno deve fare la sua parte perché tutto in quel giorno sia meraviglioso. Penso sia questo il senso delle feste di matrimonio, e questo lo spirito con cui un invitato debba partecipare al rituale collettivo: un fermo, generoso, convinto, ma discreto e defilato “ci sono” per rendere più felice la vita post favola, ovvero tutto quello che avverrà dopo i titoli di coda del "e vissero felici e contenti".
Così per tutti gli invitati, dal primo al trecentomillesimo, si prospetta una funzione più nobile della semplice consumazione di un pasto infinito, bagnato di vino, canzoni più o meno sboccate e convivialità. E così ognuno deve scegliere la forma di partecipazione più adatta al proprio ruolo e alla propria indole e deve contribuire con tutti i propri mezzi alla felicità degli sposi. 
Il compito dell’amica della sposa non è semplice come possa sembrare a prima vista. Dopo una vita di andate, ritorni, avvicinamenti, fughe, di giorni felici e giorni tristi, tirate di studio al liceo, all’università, crisi esistenziali e amorose, se si contassero le ore passate a parlare si scoprirebbe di aver maturato anzianità da poter andare in pensione anche alle condizioni attuali, e se si pensasse alla quantità di informazioni in possesso sulla sposa ci si renderebbe conto di poter riempire dieci dossier per il controspionaggio russo. Ma i matrimoni non sono feste della memoria storica, e tutto questo non è quel che serve. Anche perché l’amarcord di ciò che è stato e non è più non è qualcosa di poi tanto allegro. Quindi ci si prende il compito di essere belle e sorridenti, di onorare l’importanza del momento vestendosi, pettinandosi, calzandosi in maniera più che degna, dentro le righe, sobria. Si cerca di essere invisibilmente presenti, il più possibile vicine e poco ingombranti. E quando arriva il grande giorno si capisce cosa vuol dire che tutte le spose sono belle, perché se non vedi bellissima la tua amica, ma che razza di donna sei? E la mia amica era bellissima. Circondata da tantissime persone, lei schiva e riservata come nessuna, per proteggerla avrei voluto essere invisibile, per non aggiungere altre voci, mani, sorrisi, a un quadro che ai suoi occhi pensavo che certamente sarà stato confuso. Trovo un angolo defilato per seguire la cerimonia senza essere notata da nessuno, guardo i suoi occhi grandi un po’ felici e un po’ impauriti e mi compiaccio dello sguardo dello sposo, che chiaramente ora la adora. Poi gli applausi, le firme, altri applausi e lei all’improvviso piange. La vedo per incanto diciannovenne, sulle scale di scuola, appena finito l’orale della maturità, scoppiare un secondo dopo che tutto è andato per il meglio. Tutti la abbracciano, si commuovono, ognuno avrà la sua emozione e il suo motivo per la felicità che sembra palpabile nell’aria. Penso che nemmeno mi si veda, sono spettatrice attenta dal mio solito angolino di mondo finché mentre aspetto il mio turno lei mi chiama per nome e tende le braccia. Dicono che ci sono momenti in cui la vita ti passa davanti, mille immagini in un istante. Nel tempo di un abbraccio siamo a scuola e decidiamo “iscriviamoci in archeologia!”, siamo in una Y10 a cercare di cambiare stazione da radio Maria, ritiriamo le matricole: 19430 e 19431, siamo in lacrime, stiamo ridendo come matte, stiamo ballando sulla pista di un locale deserto a Stintino, lavorando a maglia, bevendo tè, chiacchierando di notte sotto casa, chiedendoci “perché è un secolo che non ci sentiamo?”, sorridendo con una partecipazione in mano “non dirlo ancora alle altre”. E arriva anche per me una lacrima, ma "attenta", mi dico, "tu non sei la sposa e il tuo trucco si scioglierà: contegno ragazza!" 
E poi basta: era questo il motivo della tua presenza, ed era un regalo per te, non per gli sposi. Ti potrai sdebitare liberando la tua amica di una complessa architettura di capelli che la sta torturando e poi, sorridendo nel vederla felice, spettinata e in ciabatte alla fine della festa capirai che forse siete cresciute, ma solo forse. 

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