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Rossi pensieri By Red


Stamattina, come sempre succede, appena ho avuto un minuto libero ho dato un’occhiata ai giornali on line, e su Repubblica ho trovato un articolo di Ilvo Diamanti: "Ragazzi, studiate! Meglio precari che servi per sempre"
Che vi devo dire? Mi ha commosso, e così ho dovuto mettermi a scrivere un post che spero non vi risulti troppo serio, ma penso sia inevitabile.
E’ inevitabile perché Red, Pink e la loro Rassegna Stronza sono figlie di un tempo e di vicende precise: alcune personali che non vi riveleremmo nemmeno sotto tortura e altre comuni a tutti, e in questo senso politiche e sociali. Avete già gli elementi per capire di cosa parlo, ma per amor di chiarezza vi faccio un riassunto. Sapete che abbiamo trent’anni, sapete che siamo donne, sapete che il bar che ospita le nostre risate e i nostri sogni ogni mattina è quello che serve un dipartimento universitario, sapete che vivere di ricerca è il nostro sogno, pubblico quanto proibito, sapete infine che le scienze che ci hanno rubato il cuore sono quelle “umane”: storiche e archeologiche. Ora pensate a questo 2011, pensate alle parole, ai discorsi e ai fatti che per mesi ci hanno accompagnato, pensate a quelle squallide e a quelle divertenti, dalle “donne sedute sulla loro fortuna” ai “tunnel dei neutrini”, passando per “panini con Dante Alighieri”, per “l’Italia peggiore” e, perché no, per i crolli a Pompei, strumentalizzati da ogni parte, chiudendo gli occhi davanti a un patrimonio che crolla a pezzi e si fa salvare da precari che si rimboccano le maniche e che si sentono chiedere da tutti “ma che lavoro fai?”. La scelta del nostro blog è quella di riderci su, su tutto. E di sottolineare ciò che per noi è importante senza polemiche, senza invettive, ma con tutta la grazia e la leggerezza di cui disponiamo. Quindi non inveiamo sulle cose che non ci piacciono, ma raccontiamo quelle che amiamo e ridiamo su ciò che ci fa ridere, ogni giorno. Questa, almeno, è la missione che ci siamo data, che, lontana dalla politica in senso comune, è profondamente politica culturalmente parlando, dal momento in cui abbiamo deciso che le nostre riflessioni dovevano diventare cosa pubblica.
Ma stamattina mi sono commossa. E per una volta non corro in un armadio ma mi spiego.
Mi sono commossa e consolata, e arrabbiata e poi calmata. 
Perché ero dentro un museo, con un contratto finito e uno in arrivo (lui e la sua scadenza), come quasi tutti i miei coetanei e colleghi. Ero in un museo a lavorare per l’Università, e vi assicuro che in certe occasioni bisogna raccontarselo tutti i giorni che si serve davvero a qualcosa.
I miei colleghi sanno bene che succede così: questa gloriosa Istituzione che in sé produce e insieme insegna la Cultura, è concettualmente meravigliosa, e tutti abbiamo sognato la carriera universitaria, ma quando si sta dentro ai suoi meccanismi, un giorno si e l’altro no le si impreca contro con tutte le proprie forze. Quando il giorno buono è quasi passato, succede che arriva una telefonata, una e mail o qualcosa che ti fa cambiare idea e così l’imprecazione arriva comunque, in zona Cesarini.
Senza perdermi e perdervi ulteriormente nei miei pensieri, stamattina nel mio amato museo ho letto una appassionata difesa alla troppo vituperata cultura e alla scuola, e mi sono ricordata dell’articolo di un mese fa, sempre dello stesso autore: "Non studiate!"
Ho visto in un docente, giornalista, un uomo “arrivato”, la stessa altalena di sentimenti, di passione e scoraggiamento, che anima i tentativi testardi di chi si sente chiamato alla ricerca e all’insegnamento. “Insegnare è un privilegio”, ho letto, e ho pensato alla bellezza di riuscire a far accendere una curiosità grazie alla propria, per quanto piccola, esperienza. “Seduti in piazza o nei giardini, studiate, leggete”: ho sentito finalmente, dopo mesi di prese in giro alla Cultura, un po’ di comprensione per la vorace curiosità di tanti ragazzi che hanno divorato libri su libri e dischi su dischi e guardato quadri su quadri, per piacere, per passione, per forza anche, quando ci si lasciava capitoli infiniti di geografia all’ultimo momento. Comprensione per chi leggeva anche di nascosto, sotto le coperte o sotto il banco a scuola; per chi pensa che in tutto questo ci sia qualcosa da imparare, e per chi pensa che insegnare ciò che si sa sia un compito alto e meraviglioso.
Consolazione perché a trent’anni non si sa come andrà la propria vita, ma si è già scelto se si vuole essere furbi o no, e che qualcuno ogni tanto dica “meglio colti che furbi” fa bene. Consolazione perché la precarietà fa inesorabilmente parte di noi, e non è bello che non se ne abbia rispetto, anche pubblicamente. Perché l’onorabilità sul lavoro non risiede nelle buste paga, e, soprattutto in un momento di crisi così difficile, è disgustoso e colpevole far passare un simile concetto, e continuare a tessere l’elogio solo di chi ce l’ha fatta o il requiem di chi si è arreso.
Rabbia e consolazione per la Scuola e l’Università Pubblica, che ci appartiene, e che proprio in quanto pubblica può farsi carico di tutta quella fetta di cultura “in-utile”, che forse non creerà profitti, ma persone libere si, e tante. Da quella scuola, vilipesa anche da chi, istituzionalmente, la rappresenta, si sono create generazioni di coscienze libere, nonostante i problemi, i tagli, le mancanze, nonostante i professori, che a volte peggiorano la situazione, ma molte altre passano la vita a rammendare silenziosamente i buchi di uno Stato che troppo spesso non ha avuto a cuore la cultura di cui tutti gli italiani si riempiono la bocca.
Allora Red ha dovuto scrivere, tutto il suo inchiostro rosso si è dovuto riversare su questo. Perché quel che fa e quel che è sono troppo intrecciati per permetterle di non entrare nel discorso.
Perché ci tiene a dire che è orgogliosa della sua precarietà, del suo impegno, della sua libertà.


Commenti

  1. giustissimo, come potrei non essere d'accordo?

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  2. Avete ragione tu e Ilvo Diamanti "Meglio precari che servi per sempre"! E l'unico metodo per non essere servi, o addirittura schiavi, è quello di coltivare la propria libertà, di pensiero, di stili di vita, di opinione, perché l'opinione e il pensiero sono cose assai diverse, di scelte... e una realtà così complessa la può nutrire solo una cultura profonda, meditata, che abbia richiesto tempo e sacrificio e che non si senta arrivata, personale e condivisa con gli altri, perché diventi collettiva. E poiché penso che questo ceto al potere oggi ci voglia ignoranti di modo che siamo anche pessimisti e arresi, oggi oltre che la mia cultura coltivo il mio sano ottimismo e dico: ce la faremo, ne usciremo... Forza!!!

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