Le città sono luoghi popolati, conglomerati di case e di storie. Vivono molteplici vite, sono amate, idealizzate, odiate, come fossero persone. Ogni persona che passa le vede diverse, chi torna le trova cambiate, eppure loro sono sempre uguali. Ognuno ha un aggettivo per la propria città: piccola, provinciale, bella, noiosa, sono attributi che ho sentito molto spesso accanto al nome di Cagliari. Per me Cagliari è semplicemente “mia”.
È mia nei luoghi e nelle abitudini, nei suoi tempi rilassatamente “mediterranei” e nel suo essere malinconicamente assolata. Penso che a regalarmela sia stato il primo abbonamento ai pullman, il primo “mensile studenti ACT” (ndr, non sto svarionando, sono giovane ma non c’era ancora il CTM). Avevo tredici anni e mezzo ed era settembre, io stavo entrando al liceo Dettori e con la linea M conquistavo la libertà di muovermi ed esplorare il mondo in totale autonomia. Non che prima stessi chiusa in casa, i ricordi di infanzia sono pieni di passeggiate e luoghi bellissimi, ma la città prima di allora era terreno che non mi apparteneva poi tanto.
Da allora Cagliari è diventata il concentrato di architettura e umanità che mi ha conquistata e mi ha fatto venir la voglia di ascoltare ed inventare storie.
Vi regalerò solo qualche istantanea di Cagliari, piccole cartoline con vedute e visioni “very Red”! Sono i luoghi e i momenti che scelgo per solitudine, riflessioni e paturnie, gli scorci della città più profondamente miei.
Quindi buon viaggio amici, ai cagliaritani che sicuramente vedono altro e agli “strangi” (forestieri ndr) che magari si incuriosiranno.
Prima di arrivare in centro, guardate piazza Italia (ndr, per i non Cagliaritani a Pirri, uno dei tanti “paesi nella città”) con il Bar Mariuccia, che fa gorgogliare gli stomaci spargendo nell’aria sostanze altamente eccitanti. Profumo della migliore pasticceria e schiere di uomini di vedetta, estate e inverno, a guardare e a parlare di chissà che, motorini parcheggiati male di ragazzini sardi con coloriti africani e africani con coloriti sardi. Vecchie signore con i carrelli per la spesa di ritorno dal mercato e, se sei fortunato, alla fermata ad aspettare l’M la ragazza in turchese, con i tacchi a spillo e il cappellino col fiore, che farà girare e commentare la schiera di uomini sopra citati. Traffico chiassoso di macchine, via vai perenne e disordinato.
San Benedetto. Dentro il mercato signore finto gentili e finto snob e signore colorite della “Casteddu DOC” fanno la spesa ai banchi del pesce. Chiasso, urla, odore forte di mare, bambini timidi che guardano storto anguille e aragoste pronte a saltare e bambini intrepidi che le vogliono acchiappare. Fuori dal mercato le signore finto snob non sono più gentili e aspettano il 6 con le signore “Casteddu DOC”: saranno distribuite con le loro buste più o meno pesanti, nei vari quartieri, da quelli con “condominio signorile” al famigerato Sant’Elia. Se volete farvi quattro risate seguitele sul 6 e ascoltate un po’ dei loro discorsi. E occhio allo specchietto retrovisore per vedere le facce dell’autista!
Siete schizzinosi e niente giro sul 6? Va bene, vi porto al bar e restiamo in zona!
Pomeriggio di inverno: appena fuori dal mercato tavolini rotondi e piccoli con due o tre persone per ognuno, chiacchierate a mezza voce, the e zeppoline calde, sorrisi beati di chi ha vinto freddo e malinconia.
Mattina d’estate: colazione in piazza s Benedetto, con a fianco vecchietti col bastone e il giornale e vecchiette col cagnolino, lentezza da caldo e voglia di fare shopping. All’orizzonte Giggirriva, scuro, con occhiali scuri, scontroso ed educato, mio sorriso luminoso: la stagione calcistica inizierà bene.
Piazza Repubblica, mezzanotte di maggio. Ragazzi seduti sulle panchine con pizza al taglio e birra poggiata per terra, chiacchiere da dopo concerto per serata con pochi soldi, alle spalle il Palazzo di Giustizia, McDonald dell’architettura italiana.
Spostiamoci nel centro storico, bastione di San Remy: lo fermo in un primo pomeriggio di primavera, i bambini appena usciti dalla scuola regina Margherita giocano nella terrazza mentre i genitori si perdono in chiacchiere, cielo azzurro intenso e mare blu che ti chiama. Senso di libertà con la brezza che ti rinfresca, seduti su una panchina al sole a leggere un bel libro.
Via Lamarmora, mattina d’estate: case alte e ombra, turisti accaldati che cercano di andare non si sa dove perdendosi lo spettacolo dei panni stesi all’aria. La signora seduta sul gradino di casa ti dice: “ciao bimba, sempre sorridente tu! Buona giornata!”
Cittadella dei musei, bel vedere all’ingresso del museo Cardu. Tarda mattinata di giugno, il vento solleva la gonna di una trentenne vestita di rosso che telefona, arrabbiatissima, guardando il panorama perfetto.
Via san Giovanni, settembre alle 6 del mattino, finalmente silenzio, il cielo ormai chiaro illumina la strada tortuosa, bella nella sua semplicità. Un gruppo di persone assonnate aspetta fuori da una porticina un cornetto caldo, il profumo li tiene svegli fino all’ora di darsi la buona notte.
Via Roma, porto, molo dei pescatori, le sei di un pomeriggio di fine febbraio. Guardi la nave per Civitavecchia uscire dal porto, sulle barche brulica la vita e il lavoro prima di uscire per una notte di pesca. I pescatori lavorano, ti guardano e fanno pessime battute ma non c’è problema, non spaventarti e rimani a guardare il mare fino a che non è partito l’ultimo peschereccio.
Marina, angolo tra via del Collegio e via dei Pisani ore 7,25 di una mattina d’inverno, i ragazzini assonnati non vorrebbero andare a scuola, ma i genitori li spediscono, parlando in tutte le lingue del mondo. Gli impiegati vanno verso la Regione e le banche, gruppi di operai si dirigono verso il porto e gli infiniti cantieri del centro, infreddolita e infagottata un’operaia sui generis aspetta seduta su un gradino che aprano il suo cantiere, guardando i gatti e ascoltando i discorsi più che originali che vengono fuori dalle finestre aperte.
Cimitero monumentale di Bonaria, domenica mattina di novembre. Corone di fiori quasi appassite sul monumento ai caduti, una vecchietta in nero con “su muccadore” in testa porta fiori gialli a una tomba. Silenzio rotto dal vociare degli uccelli, decadenza su statue splendide e tristi. Fiori freschi sulla tomba di un bimbo morto a tre anni nel 1943. Sulla sua lapide, nuovo, l’ultimo pupazzo di Godzilla.
Spiaggia del Poetto, mattino di giugno, maestrale forte, giro panoramico sul 3P. Prima fermata: uomini e donne pseudo giovani patiti della tintarella, stoicamente stesi e unti e grandi famiglie di cagliaritani, storicamente e stoicamente presenti qualunque cosa accada. D’Aquila e Lido, signore indispettite scappano via irritate dal vento. Quarta fermata, la villa rosa bellissima, mio sogno perenne, guarda orde di dettorini (per i non cagliaritani, studenti del liceo classico Dettori, scuola piena di detestabili “fighetti”, ma saltuariamente ospitante anche qualche futura Red) indispettiti come i loro parenti del Lido e del d'Aquila, ma pronti a resistere. Quinta e Sesta fermata: deserto, un bagnino scruta l’orizzonte con i binocoli alla disperata ricerca di una bella ragazza da guardare per passare il tempo. Torre spagnola: chi le schioda da lì le cricche di Uta? Vecchio ospedale Marino: gruppi di biciclette controllano solitarie la spiaggia, i ragazzi sono tutti in acqua a giocare a pallone. Tu scendi, ti rifugi dietro al grande rudere bianco e grigio e ti godi i pochi metri di sabbia bianca superstite, prima di lanciarti felice nell’acqua ghiacciata.
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