Alice sospirò stanca. "Secondo me potreste impiegare meglio il tempo" disse "invece di sprecarlo con indovinelli senza risposta".
"Se tu conoscessi il Tempo come lo conosco io" disse il Cappellaio agitando sprezzante il capo. "Scommetto che non ci hai mai nemmeno parlato, col Tempo!".
"Forse no" rispose prudente Alice "ma so che devo batterlo quando ho lezione di musica".
"Ah! Questo spiega tutto" disse il Cappellaio "non gli va di essere battuto. Se invece ti fossi mantenuta in buoni rapporti con lui, lui farebbe fare al tuo orologio tutto quello che vuoi tu. Per esempio, metti che siano le nove di mattina, l'ora di cominciare le lezioni: tu gli sussurri una parolina, ed ecco che le ore volano via in un battibaleno! L'una e mezza, ora di pranzo!".
"Certo, sarebbe magnifico" disse Alice sopra pensiero "però mi sa che non avrei ancora fame".
"Da principio no, forse" disse il Cappellaio "ma puoi tenerlo fermo all'una e mezza finché vuoi!".
"E tu fai così?" Chiese Alice.
Il Cappellaio scosse il capo dolorosamente. "No" rispose "abbiamo litigato lo scorso marzo... e da allora... non vuol più far nulla di quello che gli chiedo! Ora sono sempre le sei..."
Anche io litigo col tempo. Diciamo che io e lui
abbiamo spesso un rapporto conflittuale: a volte mi sembra infinito, a volte
troppo impetuoso. Non vuol mai trattare con me, e io, che ho un carattere di
tutto rispetto, ci litigo! Ma vince sempre lui, finisce quando vuole lui, torna quando
dice lui, non si riesce mai a farlo ragionare. Però ho pensato molto al tempo e
ai nostri fugaci idilli, e ho capito che in fondo io e lui vogliamo la stessa
cosa: essere liberi. Allora quando libero il tempo e non lo opprimo con i miei
problemi, lui mi grazia, e viviamo in perfetta armonia.
Perché il tempo sia chiamato libero senza che si offenda, deve
essere libero davvero. Libero da abitudini, da schemi precostituiti, libero di
dilatarsi e restringersi, di prendersi e darsi, di improvvisare. Credo che
siano ammissibili al mio tempo libero solo due forme di occupazioni: i rituali e
l’improvvisazione.
I rituali sono una cosa che adoro, e capirete che se i miei
problemi con il tempo sono simili a quelli del cappellaio matto, io ho
bisogno di confortarmi spesso con piccoli gesti, come lui di festeggiare ogni giorno i non
compleanni in compagnia di ghiri, lepri e bestiacce varie. Amo i rituali perché
si ripetono sempre uguali o quasi, ma non sono abitudini. Come posso spiegarvi?
Tra un’abitudine e un rituale c’è la differenza che passa tra il buttar giù ad ogni
pasto due dita di Tavernello perché si è abituati così e il
sorseggiare un bicchiere di porto d’annata davanti a un camino acceso. Ecco, io
non ho mai assaggiato il Tavernello. Il porto invece si. Tante volte.
Il mio tempo libero è fatto di cornetti e cappuccino, di
caffè neri, amari e bollenti. Di 0,20 chiare con relativo bis, ché le 0,40 mentre chiacchieri si scaldano, di mojito, di cioccolate e cioccolatini. I miei week end sono
scanditi dal sabato-mattina-shopping con Violet, che possibilmente si
conclude con un Martini rosè con ghiaccio all’Antico Caffè, e se anche può
sembrare abitudine è proprio come scegliere il miglior vino e la migliore
annata: chi se ne importa se è sempre uguale, è il migliore!
Poi c’è l’improvvisazione, perché è vitale un po’ di tempo
non organizzato. Per non irritarlo c’è bisogno che il tempo a volte si decida
da sé, si lasci portare dagli eventi e non sia in nessun modo prevedibile. E’ questo
il tempo per leggere, per scrivere, per cantare, che sia pancia all’aria sul divano o
davanti a un tramonto. Per camminare, per infilarsi in strade che non si
conoscono, per assaggiare cose mai assaggiate, per parlare con gli sconosciuti,
per telefonare a chi si pensa all’improvviso, per scappare al mare. Quello che
per me è fondamentale in questi casi è che sia tempo lento. Cioè, mi bastano anche
cinque minuti ma devono essere senza orologio e calmi, non devono avere paura
della fine. E se non è così col tempo mi ci arrabbio io!
Poi c’è il tempo per pensare, e quello è fondamentale. Ho bisogno
di filosofeggiare un po’. Siccome il pensiero è libertà, quando penso il tempo è
libero e felice. Per questo va bene anche stare in pullman, in metropolitana,
sotto la doccia… purché non pensi a cose contingenti e pragmatiche! Per sentirmi libera ho
bisogno di pensare a ideali, inventarmi storie o progetti irrealizzabili, ricordare,
sognare possibilità e situazioni inverosimili. Ho bisogno di un’ora al giorno
di pensieri completamente campati per aria, solo apparentemente inutili, perché
alla fine è l’aria la materia di cui sono composta, e forse la mia vera patria
è il Paese delle Meraviglie. E poi devo pensare a pensieri futili, tipo “scarpe”,
“cosa mi metto domani”, “com’è la borsa che vorrei trovare?”, “quanto sta bene
il verde con i capelli rossi?”, “la prossima manicure”, che poi futili non sono,
perché un po’ di bellezza serve, a se stessi e agli altri, e il tempo non mi ha
mai rinfacciato un minuto speso ad agghindarmi e a guardarmi allo specchio.
Ma ancora perché il tempo non mi si ritorca contro manca
qualcosa. Il tempo non è mio, lui non vuole che io lo batta come Alice a
lezione di musica! E allora il tempo più libero è quello che si regala. Quello
che si recupera a fatica per correre in soccorso di un’amica che sta male,
quello che si mette via per un bambino, una madre, una sorella. Quello che uno
ti chiede “ho bisogno di un favore, sei libera? E tu dici “si!” anche se libera
non lo sei per niente. Ma un po’ di tempo lo cerchi, lo chiami, ci parli, lo
convinci, lo liberi, e lo regali. E il tempo dopo che lo hai liberato libera
te. Ti lascia correre, ti migliora la pelle, ti aggiusta il sorriso. E scatena
la lagna di chi vede come un impegno ineluttabile anche il sabato sera a ballare. “Beata te che hai
tempo!” mi dicono! Ma forse non sanno il segreto che sappiamo io e il Cappellaio, che se ti tieni in buoni rapporti col tempo puoi tenerlo sempre all’una
e mezza… invece niente, se lo tedi non ne esci: riesci a vedere solo le nove di
mattina, ed è ora di entrare in ufficio!
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