Ma che la baciai, per Dio, si, lo ricordo!
(Fabrizio de Andrè)
Iniziamo la nostra rassegna con una domanda un po’ complicata. Mi piacerebbe prendermi il merito di tanta profondità, ma devo essere onesta: la domanda non è mia. Però è stata rivolta a me, da uno degli avventori del bar dove da mesi la “rassegna stronza live” delle gingle girls red&pink allieta più di una pausa caffè. Il fortunato, o malcapitato, signore in questione, mi guarda e mi chiede quale sia la ricetta della felicità, io tirandomi giù gli occhiali da sole guardo in alto senza risposte e mi sbologno la questione con una battuta, che nemmeno più ricordo. Quel che ricordo sono i commenti di Pink, quel simpatico bastoncino Findus della mia amica, e la mia indecisione tra l’essere orgogliosa di sembrare la depositaria di un segreto così importante e il disappunto di non sapere perché mai potessi sembrarlo.
In attesa di avere delucidazioni dal succitato avventore del bar dico le mie risposte, sperando che qualora legga il nostro blog possa trarne giovamento.
Per essere felici serve leggerezza, perché la felicità è un volo, per esempio tra le braccia dei compagni di squadra dopo una vittoria, o tra le braccia di un bell’omone muscoloso che non fa toccare terra né ai tuoi piedi né alla tua anima, o nel ritrovarsi improvvisamente diciassettenne mentre canti strillando in piedi sul letto “mi ami?” dei CCCP.
Per essere felici bisogna essere sconsiderati, perché la felicità è incoscienza, come un viaggio lunghissimo per poche ore meravigliose, come un bagno al mare in aprile dopo un acquazzone, come regalare pezzi d’anima quando solo, e dico solo, l’istinto ti dice di farlo.
Per essere felici serve saper giocare, perché la felicità è divertimento, come non smettere di ridere perché “il parco è nascosto dal pollo”, fare le gare di corsa con tua nipote sul bagnasciuga, cantare Anarky in the UK sull’autobus e fermarsi solo per far osservare un “carrello della spesa sulla casetta del pullman” a tua sorella, o scendere le scale del dipartimento cantando una canzone improponibile il giorno in cui discuti la tesi di dottorato.
Per essere felici serve curiosità, perché la felicità è ricerca, come quando dopo ore sotto il sole ad osservare terra e pietre ti si palesano all’improvviso connessioni di eventi celate da millenni. Per la cronaca non sto parlando dell’uso di sostanze stupefacenti, ma di archeologia.
Per essere felici bisogna essere umili, perché felicità è un amico che inaspettatamente ti tende una mano, e tu ti illumini e senti quel meraviglioso impulso vitale di saltargli al collo, anche se servirebbero braccia tanto lunghe da attraversare il mare.
Per essere felici serve buon gusto, perché la felicità è bellezza, come l’eccitazione commossa alla mostra degli impressionisti, o il cuore che salta in gola alla vista di un pezzetto del “martirio di san Matteo” di Caravaggio, nell’entrare per la prima volta a san Luigi dei francesi, o il rapimento estatico per l’Otello di Verdi.
Per essere felici serve volontà, perché la felicità è costanza: fare almeno una risata al giorno per tutti i giorni della propria vita è un orgoglio, ma a volte diventa un lavoro.
Per essere felici bisogna esser piccoli, perché la felicità è una coperta e non mi piace scegliere se tenere fuori i piedi o la testa.
Per essere felici ci vuole dolore, perché riuscire un giorno a riderci su non ha paragoni.
Per essere felici ci vuole vanità, perché quando proprio non si trova altro ci si guarda allo specchio, ci si fa carine, ci si stampa un sorriso sulla faccia e… dai cazzo! Qualcuno che ti sorride e ti chiede la ricetta della felicità lo trovi. E così stai in bilico tra il volerlo mandare a quel paese e il sentirti davvero un po’ felice!
Questi gli ingredienti, le varianti ve le dico un’altra volta o non finisco più di scrivere e voi di leggere. Per la preparazione della pozione mettere tutto in un mixer e frullare fino all’ottenimento di una crema vellutata. Un terzo di intruglio lo si lancia dietro le spalle dicendo la parola magica “ma vaffanculo, va”, un terzo si semina in terreno mediamente argilloso al grido di: “Porca miseria, germoglia!” un terzo si unisce a rum, lime, ghiaccio, menta e zucchero di canna e si beve miagolando voluttuosamente.
Dopo di che ci si guarda allo specchio e si risponde alla seguente domanda: a cosa voglio somigliare oggi? Risposta A: un pelo incarnito in mezzo alle chiappe. B: un raggio di sole.
Beh, la rossa sceglie sempre il raggio di sole, tze!
P.S. per essere felici ci vogliono coraggio e follia, perché “che la baciai, per Dio, si, lo ricordo!”
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