Ma che gallina d’Egitto!
Avevo
otto anni quando l’ho incontrata. Proprio da vicino intendo. Mi sentivo una
fanciulla moderna, spigliata. Abbastanza informata delle cose della vita.
Eppure la sua presenza mi risultava inquietante. E mi dondolavo nervosamente,
su quella brutta sedia scrostata da ospedale, e non toccavo per terra con i
piedi. Attendevo il responso. Sapevo chi fosse Ines e quale fosse la sua
professione, ma qualcosa mi sfuggiva. Il suo operare appariva sfumato, nei
tratti essenziali, protetto da una specie di timore rispettoso e insieme
omertoso.
A me
interessava sapere se sarei diventata sorella.
Le
donne parlavano di lei spesso, con un che di sussurrato, un’aria arcana le
aleggiava intorno. Ricordo bene la figura, una donna grande e slanciata, ma
ossuta, nodosa, con grandi mani, su braccia dinoccolate, con poca grazia, da
uomo. Abiti informi e scuri, da suora laica, come le scarpe. Inconsueta
l’altezza che accresceva la sua autorità e la sua fermezza. Una signora
abituata a dare ordini, e ad essere ubbidita. Rude, nei gesti, sbrigativa. La
sua professione imponeva decisioni repentine. Dava a tutti del tu, ed allora
non era proprio frequente, ma era tipico delle sue parti. Portava sempre la
crocchia, ed orecchini pendenti, di foggia sarda. Importante il naso. La voce,
nonostante i lunghi anni trascorsi in Sardegna, non aveva perduto l’originaria
cadenza padovana. In moto perpetuo, sembrava non avere riposo, né i ritmi
consueti delle persone a me note. C’era sempre qualcosa di veloce, di
frettoloso, che non poteva attendere, che la accompagnava. La si vedeva
ovunque, con passo marziale, o lanciatissima in bicicletta. So che destò
scalpore, all’inizio, la sua indipendenza. Non si erano mai viste qui donne
così, sole, indipendenti, sempre attive, che non si ritiravano, pudicamente,
dentro casa, per uscirne solo nelle ore opportune. Da Padova aveva raggiunto
sua sorella Clelia a Cagliari nel 1943, anch’essa stimatissima ostetrica che
operava da tempo in città, e ne aveva ricalcato la carriera.
Era un
faro luminoso. Signorina Ines Degli Agostini ha fatto nascere moltissimi
bambini nell’hinterland di Cagliari. Ha prestato la sua opera per lunghi anni.
Riceveva in via Italia, in un ambulatorio spartano e scuro come l’antro di una
creatura temibile, in una penombra artificiale data da un pesante tendaggio che
occludeva la vista sulla strada. Più spesso faceva visita a domicilio, a
qualsiasi ora. Il suo giungere portava con sé ordine, fiducia, la
consapevolezza grata che la vita stava facendo il suo corso naturale. Ricordo
le sue mani adunche, già deformate dall’artrosi, sui fianchi di mia madre,
mentre imperturbabile la guidava nel travaglio, incurante delle urla. Poi,
assicuratasi che tutto procedeva per il verso giusto, scompariva
repentinamente. Sapevo dalle chiacchiere delle donne che era sfacciata, a loro
dire. Faceva domande imbarazzanti, le costringeva, colme di pudore e di
ignoranza a conoscere il proprio corpo, ad averne cura, ad imparare le regole
più elementari di igiene e profilassi sanitaria. Ma era molto di più, era
psicologa, e confidente delle gestanti. Amica della vita. Lottatrice per la
vita. Dava consigli sulla alimentazione, su come preparare il corredo,
insegnava ad allattare. Tutte, indistintamente temevano le sue mani, troppo
grandi e impudiche per essere poco più che tollerate dalla necessità. “Talleresi”, dicevano, immense e dure,
senza delicatezza. Come se ci fosse qualcosa da espiare già dalla visita, il
prezzo di una sessualità confusa, narrata ridacchiando di compiacimento e finto
pudore. Di nascosto chiamavano ingenerosamente le sorelle “galline padovane”, con
quel po’ di malevolo che talvolta si destina agli “stranieri”. In realtà era
profonda e indelebile la riconoscenza per il loro aiuto prezioso, a lungo
insostituibile ed unico. Non di rado alle ostetriche venivano dati i bimbi da
battezzare. Attualmente è in corso una pratica per intitolare alla memoria
delle due sorelle una scuola materna.
Commenti
Posta un commento