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Istantanee -by White


La maga buona che coltiva gli iris

Vi sono luoghi capaci di regalare pace, dove l’anima si rasserena e si predispone al bene. Sono spazi che mutano, con il susseguirsi delle stagioni, nei colori, nei profumi, nei fruscii e nei cinguettii. Cagliari è una città fortunata. Ospita svariati luoghi benedetti, dove il Creatore non si è risparmiato. Per niente. Ai piedi dell’anfiteatro romano si stende l’amena valletta di Palabanda. Un lembo di terra dove la Storia si è dilettata parecchio. Intricatissime le vicende legate al suo possesso ed alla sua destinazione, nei secoli, ma ricche di fascino a ripercorrerle. All’interno di un alto muro di cinta dall’aspetto militare, dove ci si aspetterebbe la targa con su scritto “Limite invalicabile”, si cela un tesoro, l’Orto Botanico, uno tra i migliori in Italia. Mai in piena luce, quando il caldo torrido arrostisce la città, offre un prezioso ristoro. Vi capiterà di incontrarvi bambini, innamorati, convalescenti, e chi ha poco davanti a sé, ma sa ancora godere della vista delle ninfee, e del via vai dei grandissimi pesci rossi, nell’acqua fangosa della fontana. Una donna specialissima ha contribuito con grande passione alla sua formazione. Vi ha passeggiato fin da piccola, rapita, manifestando incontrovertibilmente il suo spiccato interesse per il mondo vegetale. Studierà e renderà noto il patrimonio specialissimo della sua amata isola per tutta la durata della sua lunga vita.
Eva Mameli nasce a Sassari nel 1886, figlia di Giovanni Battista, pluridecorato colonnello dei carabinieri. Giunto alla età della pensione, la famiglia si trasferisce a Cagliari, dove Eva compie i suoi studi. Si laurea in matematica molto presto, nel 1907. Di lì a due anni, raggiunto a Pavia il fratello Efisio, docente di Chimica, dopo la morte del padre, si laurea anche in Scienze Naturali. Ottiene l’abilitazione all’insegnamento nelle scuole, non vuole gravare sulla famiglia. E’ brillante e appassionata. Sarà la prima donna in Italia a conseguire la libera docenza in Botanica. Ricercatrice infaticabile, perfeziona i suoi studi con rigore e costanza. Grande divulgatrice. Le si devono oltre duecento pubblicazioni. Piccola e scura, nei colori, ha una imponente massa di capelli. Non li ha mai tagliati, scendono come una tenda ben oltre le cosce. Una Lady Godiva in miniatura. Li porta arrotolati più volte in sé stessi, dopo averli intrecciati. I pochi che l’hanno vista con i capelli sciolti ne hanno tratto un’impressione quasi di spavento. Un fantasma ossuto. E’ una donna riservata, Eva, austera e rigida, misurata e severa anche nelle parole e nei toni. Indossa gonne lunghe a balze sovrapposte. La sua vita, trascorsa fino ad allora china sul microscopio, dedita totalmente al suo lavoro, anteponendo lo studio a qualsiasi altro aspetto dell’esistenza, subisce una scossa improvvisa. Nel 1920 incontra un illustre agronomo, Mario Calvino, che ne apprezza la profonda e poliedrica preparazione, e con il quale intrattiene da qualche anno un rapporto epistolare intenso. All’invito di collaborazione nell’ambito della genetica vegetale, seguirà immediatamente una proposta di matrimonio, che Eva accetta, lasciando il mondo della ricerca e dell’Università. Lo raggiunge a Santiago de Las Vegas, a Cuba e sarà al suo fianco nella conduzione della Stazione sperimentale. Si occuperà per lo più dello studio della canna da zucchero, incrementandone la resa e combattendo le malattie che la infestano. Qui darà alla luce il suo primogenito, Italo, destinato ad ottenere grande fama nell’ambito letterario, unico caso in una famiglia di assoluta predisposizione scientifica. Nel suo soggiorno cubano, durato cinque anni, Eva troverà il modo di istituire una scuola volta a combattere l’analfabetismo delle figlie dei campesinos. E’ buona d’animo, fa la crocerossina tra le due guerre, cura il tifo e sarà premiata con medaglie e benemerenze. Nel 1925, in risposta a pressanti richieste, i due studiosi fanno ritorno a San Remo, dove si occuperanno di floricoltura. Acquistata una grande proprietà “Villa Meridiana”, proseguiranno con fervore i loro studi. La casa, amplissima, accoglierà laboratori ed il suo lussureggiante giardino vedrà quotidianamente le loro sperimentazioni. Ai coniugi Calvino si deve l’ingresso in Italia del kiwi. Proprio mentre si trova impegnata in questa attività, ad Eva viene offerta la cattedra di Botanica a Cagliari e la direzione dell’Orto Botanico, suo primo amore. Sarà un via vai forsennato, il suo, tra la Liguria e la Sardegna. Vi rinuncerà due anni dopo, per la nascita del suo secondo figlio, Floriano, nel 1928. Pur godendo del sostegno totale della madre Maria Maddalena Cubeddu nella cura dei figli, dovrà lasciare i suoi impegni cagliaritani, e lo farà a malincuore. Ora il suo impegno si concentrerà del tutto nella Stazione sperimentale di floricoltura a San Remo, dal cui giardino raramente si allontanerà. A lei si deve l’introduzione di numerose specie vegetali provenienti dai luoghi più disparati del mondo, fatte acclimatare in Liguria con successo. Divulgherà con grande generosità il frutto delle sue ricerche, in particolare sulle tecniche della ibridazione, perché possano essere di utilità al maggior numero di vivaisti possibile. L’incombere della seconda guerra mondiale porterà con sé dei rallentamenti nella loro attività. E difficoltà. A Villa Meridiana nascondono ebrei e partigiani. I loro due figli sono anch’essi partigiani. Eva e Mario conosceranno la crudeltà di una duplice fucilazione simulata fatta allo scopo di estorcere il nome del luogo in cui si nascondono i figli. Mario, tenuto prigioniero per una quarantina di giorni, ne rimarrà segnato per tutta la vita. A guerra conclusa gradualmente a Villa Meridiana si torna alla normalità, frenetica l’attività nel giardino. Eva lotta contro lo sterminio degli uccelli, creature utilissime alle piante perché si nutrono dei loro parassiti, liberandole. Una tra i primi a porsi il problema della loro tutela. Alla morte del marito, nel 1951, subentra nella direzione della Stazione sperimentale. Vi lavorerà senza risparmiarsi fino al 1959. La Riviera dei Fiori le deve tanto.
Ma noi ci ricorderemo di lei, con gratitudine, ogni volta che ci capiterà di ammirare la gran mole di varietà di piante e fiori da tutto il mondo, leggendo le etichette con i nomi in latino, a spasso tra i vialetti profumati del nostro Orto Botanico, immaginandola china, in osservazione, delle sue amate Fumarie, la lunga gonna chiara sulla ghiaia, aperta come una grande corolla, dove il sole gioca senza stancarsi mai a incara cua tra il folto fogliame. Una piccola grande donna, che avvertì prestissimo e pressante il desiderio di essere utile agli altri, lottando in un mondo scientifico pensato per soli uomini. Timida solo in apparenza, ma forte di carattere, questa signora un po’ scontrosa, “Carognetta” la definiva Libereso, lo storico ed eccentrico giardiniere di Villa Meridiana. Si esprimeva in un italiano perfetto, curato con rigore ossessivo nella forma. Scienziata capace di tessere competenze anche oltreoceano ed insieme nonna appassionata, si spegne nel 1978, a novantadue anni, “la maga buona che coltiva gli iris”, come la definiva suo figlio Italo.

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