Una "sventatella di genio"
Dalle sue foto in bianco e nero
Edina ti guarda dritto negli occhi. Posa fatale, studiata a lungo, ritratta preferibilmente
seduta. Atteggiamento da diva, sontuosi, di un lusso sfrenato, gli abiti. Collane,
diademi, ventagli e rossetto. Tutto un fiorire di volants, amplissime le gonne.
Scuri i suoi colori. I capelli con la scriminatura centrale, perfettamente
acconciati. Spalle scoperte, accessori sfarzosi e insieme leziosi. Appare
sicura, il volto di una donna capace che sa di esserlo. Ma conserva intatta
quell’aura di ingenuità e sventatezza, che le cucirono addosso per la precocità
dei suoi esordi, che piace tanto alla critica. Non fatevi ingannare: indossa
questa veste come un passaporto per il mondo dell’arte. E’ un’abile
pubblicitaria, anche di sé stessa. Le donne del novecento devono stare sempre
un po’ indietro, devono apparire inconsapevoli per essere accettate, sciocchine.
Tutto ha inizio fin da bambina,
in una casa abitata da donne, e da un solo uomo, il padre Eugenio che fa
l’oculista. E’ un’autodidatta Edina, ma il suo è un percorso di crescita
costante, che le consentirà di passare dalla bidimensionalità della carta al
tridimensionale nelle sue creazioni con naturalezza. Ha altre tre sorelle,
Aurora, Lavinia e Iride, tutte vicine, nate in un pugno d’anni dalla mamma
Gavina. I giochi consueti non destano alcun interesse, in quella bella casa borghese
a Sassari. Preferiscono fare da sé, ad eccezione di Aurora, realizzano oggetti
con carta e forbici, stoffe, e sorprendente creatività. Fin da giovanissima, a
soli sedici anni Edina viene notata. Alcuni riconoscimenti importanti, e la sua
opera, un collage, dal titolo “Nella terra degli intrepidi sardi – Gesus Salvadelu”, viene acquistata addirittura dal Re Vittorio Emanuele
III, ed ora è custodito al Quirinale. Lei dedica la vita alle sue passioni
completamente. Moderna, indipendente. Le sorelle faranno altrettanto solo nella
maturità, anteponendo altri interessi alle loro capacità artistiche. La
produzione di Edina è smisurata e variegata. Collage, cartoline, ceramiche,
arredi d’interno, anche per cinque grandi transatlantici, illustrazioni di
libri per l’infanzia colme di grazia e fantasia (anche per zia Mariù). Una
delle “sue” bambine nutre il suo animaletto domestico, che è un istrice, tanto
per dire. Pubblicità, figurini e abiti, collaborazioni con riviste, calendari,
giocattoli, fiammiferi figurati, incredibili studi per foulard e tanto altro
ancora. Colpisce, nella sua opera, la capacità di cambiare tratto, l’essere
incredibilmente duttile. Alcuni artisti hanno un tratto inconfondibile, distintivo,
lei sa ricorrere a tanti registri, con grande disinvoltura e maestria, tanto
che si fa fatica a riconoscerne la mano. Sono anni, quelli, in cui il ruolo
delle donne nell’arte non è riconosciuto. Dove si disserta fino alla noia tra
professionalità e dilettantismo, riferendo le donne immancabilmente a
quest’ultimo. Ma Sassari è una città vivace, che ama l’arte. Non sappiamo molto
della sua produzione iniziale, solo alcune foto la documentano, che pare non
rendano giustizia, anche perché in bianco e nero. Di certo Giuseppe Biasi si
era fatto un’idea precisa se le chiese di partecipare alla Mostra della Secessione
Romana del 1915, che curava personalmente. La guerra determinò ritardi, e
rimandò di un anno il suo esordio. Nel 1916 a Sassari, Edina prenderà parte
alla Mostra della Mobilitazione Civile, dove sarà molto apprezzata per il
carattere singolare della sua tecnica: sovrapponendo carte colorate ad uno
sfondo scuro saprà ottenere effetti sorprendenti per la qualità del disegno e
l’ampio respiro della prospettiva. A lei si devono una serie nutrita di
giocatoli di cartone, che rappresentano scene locali di quotidianità: donne
alla fonte, ragazzi che tirano la coda del gatto, bimbi con il girello di
legno, solo per indicarne alcune. Hanno forme inconsuete, che ricordano, ai
nostri occhi un po’ più smaliziati, gli omini playmobil, con quei volumi squadrati, ma che possono ricoprire
qualsiasi ruolo voglia attribuire loro la fantasia. Dopo un esordio piuttosto
promettente, prosegue in sordina. E’ triste il destino delle artiste del
Novecento, il loro emergere è sempre legato ad un uomo, non è consentito loro operare
autonomamente. Ma Edina sa esprimersi. Eccome. Sarebbe sufficiente un’occhiata
al collage intitolato “Egli non torna”, per capire. Una donna attende il suo
uomo. E’ in ansia, il presentimento di una possibile e temutissima assenza
definitiva è reso con pochi elementi: una stanza scura; la posizione della
donna, che più che seduta appare come chi non riesce a stare in piedi, le gambe
molli e il respiro corto. Il fuso lanciato per terra, con rabbia e paura. Un
gatto inquieto. Sullo sfondo una finestra aperta su cui si intravede la strada
dell’incertezza. Insomma è evidente che non si tratti di carte colorate
sovrapposte, ma di narrazioni, reali, acute e fini. Nel 1922 Edina sposa un
noto illustratore, Vittorio Accornero. E si conformerà ai suoi modi espressivi,
così profondamente che non di rado è impossibile distinguere chi sia l’autore
reale tra i due, dei tanti lavori curati in coppia, e che tendono al mondo
ovattato e borghese del decò, sempre un po’ convenzionale e impersonale. Poi,
dopo la separazione amichevole dal marito, già di per sé un evento inconsueto, dal
1935 starà sotto l’ombra ingombrante di Giò Ponti. Nonostante abbia rivestito
un ruolo di spicco nell’ambito del design italiano, Edina Altara è rimasta
imbrigliata nella nebbia della blanda notorietà. Sul suo lavoro multiforme non
si poserà mai uno sguardo globale della critica. Sarà valutata per ciò che
produce sul momento, senza una visione d’insieme, senza prendere in
considerazione l’iter della sua crescita artistica. La donna è ancora l’altro,
l’espressione del primitivo, come si attribuisce ai bambini ed ai pazzi. E lei
è tre volte l’altro: perché donna, “bambina” e sarda. Sa essere camaleontica e conformarsi
alle necessità, ma i familiari ricordano di averla vista piangere di rabbia
nello svolgere alcuni lavori di cui non amava né la committenza né i temi
imposti. Nonostante il suo continuo sforzo di doversi adeguare ai gusti di un
mercato capriccioso, Edina manterrà intatta una parte di sé, che rifulgerà
potente in alcune opere, come gli studi per i foulard, uno, tra i più noti,
quello “Flora” creato per Grace Kelly. Di lei Giò Ponti diceva che sapeva dare
il meglio solo se veniva lasciata libera. Chiederle di lavorare “a tema”, la
spegneva, comprimeva il suo brio, la rendeva un’esecutrice, validissima, certo,
piuttosto che un’artista. Il mondo variegato dei costumi della Sardegna è uno
dei temi prediletti per la ceramica, vividi i colori, misteriose e fatali le
donne in costume, alte, snelle, slanciate, scure nei volti un po’ orientali, hanno
la grazia di modelle in passerella. Negli anni cinquanta, la vicinanza di tutta
una vita con le sorelle, riprende vigore anche nel campo dell’espressività e
dell’arte. Creano lavori molti differenti tra loro, hanno gusti personalissimi.
Lavinia mostra una spiccata predilezione per la ceramica, dando vita a tutta
una serie di figurette a tema religioso o mitologico. Un po’ naif, i suoi
lavori sono echi di memoria e frutto di un’acutissima finezza di osservazione. Iride
è molto più temeraria, ama accostamenti improbabili, di materiali e forme
bizzarre, strane cornucopie, testiere di letti in palma, figure contorte in
treccia di rame. Ognuna di loro ha occhi e sguardi propri, come le lenti che il
babbo sceglieva per ognuno dei suoi pazienti, ma indubbiamente da artista. Le
loro case saranno come quinte teatrali, luogo prediletto di rappresentazioni
piene, colorate e un po’ barocche. Controcorrente con il modernismo e
l’essenzialità che impera. Mobili particolarissimi, riadattamenti di arredi
sacri, specchi. Impera il gusto della decorazione, ridondante fin quasi al
barocco. Qualcosa si è conservato delle loro case a Milano, Sassari e Cagliari.
Rimarrà sola, Edina, negli ultimi anni della vita, sopravvivendo alle amate
sorelle. E lascerà questo mondo, ultraottantenne, dando segni di squilibrio
mentale, dopo una vita pienissima, trascorsa a ricoprire ruoli non sempre
graditi, ma con la capacità di saperlo fare, con la straordinaria abilità che
un talento grande ed intelligente consente. Giocatrice esperta di immagini,
anche della propria.
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