Valentina non è di carta
Se mi soffermo anche solo un poco, a ritroso, mi rendo conto
che la mia mente ed il mio cuore sono punteggiati da bagliori di differenti
intensità. Come le stelle che ho ammirato anni fa, a tarda notte, nella
spiaggia delle Saline di Calasetta. Non numerabili. Non mi è mai più capitato
di vederne tante, tutte insieme. Sono echi di donne, tantissime donne. Io non
so quale meccanismo segua il ricordo per sedimentarsi in me, è mutevolissimo.
Sceglie strade sempre diverse, si attiva con i colori, gli odori, le immagini, i
suoni. E le storie. A volte spiacevoli flash come il gesto brusco di una suora,
fatto con un malanimo che proprio non mi aspettavo da lei. Che, a mio modesto
parere di bimba, non le si confaceva. O il tono di voce della mia maestra, una
carezza leggera e confortante, un’estensione di mamma. O ancora un seno
bellissimo, marmoreo, tondo e candido, intravisto di soppiatto in una donna già
anziana che non ha mai capito di essere bellissima e speciale. Avvinta, tutta
la vita, ad un uomo ferale. E parole profetiche che ho compreso troppo tardi,
sottovalutandole quando sono state pronunciate.
Anche Valentina è impressa
in me, con la grazia di un’incisione a bulino, con tutte le sue differenti profondità,
le curve sinuose, sullo scenario di un fondovalle del Monte Linas. Ho letto più
volte di lei, senza stancarmi. Io la vedo proprio. Viva. Vedo i polpacci
torniti che sbucano impertinenti dalla gonna lunga quando si affretta sul ponte
che scavalca la Fluminera. Ed i suoi calcagni rosa, morbidi come quelli di un
bimbo. L’odore di verbena che neanche il succo spremuto dalla olive riesce ad
annientare. L’agilità fulminea di una gatta, quando si issa sulla botola del
tetto e desta ammirazione tra gli astanti. Pochi, accorti tratti delineano Valentina
e tu sai già che è una ragazza da amare e capace di fare altrettanto. E cammina
la sua storia, si articola nei giorni, con l’esclusività che la vita regala ad
ognuno di noi. Ama Valentina, appena diciottenne, con il pudore di altri tempi,
che impreziosisce i gesti e li nobilita. In lei colpisce il suo essere
naturale, naturalmente gradevole. Una delle creature, piuttosto rare, in cui la
bellezza è identica, dentro e fuori, senza contrasti. Viso da Madonna bambina, occhi
verdi con le pagliuzze d’oro, cuore grande, saldi i principi. Incisivi un po’
lunghi. Uno scialletto rosso, di lana, lavorata a mano. Lavora Valentina, cura
i suoi affetti. La sua esistenza, pur nella sua normalità, ti cattura, e
partecipi. Partecipi con gioia alle sue gioie. Vivi le sue paure. E’ una sorta
di riscatto per te: godi del fatto che tutto vada bene. E ti compiaci. Ti senti
donna con lei, pronta a lottare per quello in cui credi, come ha fatto lei
contro le convenzioni del suo “Paese d’ombre”, Norbio. Ma è nel giusto, e prima
ancora di saperlo, lo senti. Comprendi la pienezza dell’amore, in cui due individui
si completano perfettamente, senza mai perdere la propria identità, con la
libertà di scegliersi ogni volta. Così, quando tutto si appiana, nella sua
vita, non sai spiegarti il seguito. Anche se più volte avevi colto la sua
inquietudine, un senso fastidioso di presagio, lanciato tra le righe, che ti
sei affrettata a scacciare. Per questo non perdoni l’autore: si comporta con la
stessa crudeltà inspiegabile che a volte ti rifila la vita. Una pugnalata
traditrice alle spalle. Proprio lui che ha in mano le fila della trama, e
potrebbe regalarle un futuro straordinario. E invece la abbandona su quel letto
grande, con la sorella, ignara, al suo fianco. Bianca, bellissima come non è
mai stata, esangue, privandola della gioia della maternità, appena intravista,
e della vita stessa. Un sopruso insopportabile, per me, come lettrice e donna.
Valentina Manno non è di carta, è una donna vera, molto sfortunata, come tutti
quelli, che loro malgrado, devono andar via proprio sul più bello.
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