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Lo sfogo di una badessa dimenticata



Se lo avessi solo immaginato!
Ho corteggiato a lungo, tutta la vita, Mnemosine, la dea della memoria.
Con caparbietà. Forse per vanità. E sono stata beffata. Non ho mai accettato il ruolo di subalternità destinato alle donne del mio tempo. Un matrimonio combinato in età tenerissima. O il convento, prima o poi. Perché nubile, secondogenita, o vedova. Mi sono impegnata con tutte le mie forze per dare il via ad un corso nuovo, perché emergessero le personalità da quella massa indistinta in cui si confondevano le donne. Come in un gregge.
Tutto previsto, tutto programmato, ogni centesimo rendicontato. La scelta del luogo, una valletta amena, dove risuona la musica della forza delle acque del Tirso. Non un corso qualunque. Il più imponente dell’isola intera. Ho curato ogni dettaglio, mi sono rivolta alle maestranze più qualificate. I materiali locali: la bella trachite rossa di Bidonì. Il progetto affidato ad un grande maestro, Anselmo di Como.
Una chiesa grandiosa: questo il mio lascito ai posteri. Consacrata nel 1291 dal Vescovo Giovanni di Santa Giusta, il Giudice regnante Mariano II. Ogni capitello diverso: falchetti addestrati per caccia, passatempo dei nobili. Una scrofa che allatta. San Daniele nella fossa dei leoni. Uomini con la “berritta longa” assieme a donne, le mani intrecciate, nell’atto di ballare “su ballu tundo”.
Ma il tempo, a volte, è dispettoso. Rema contro. Non basta essere nata in una grande famiglia. Tutto dimenticato. Congiunta di Mariano II, dicono. Non è possibile. Non si sa bene chi sono. Nessuna traccia di me nelle genealogie sarde del Medioevo. Eppure sono io che appaio scolpita sull’architrave del portone principale. Sono io, che in atto di prostrazione formale vengo presentata a San Pietro, l’apostolo al quale la chiesa è dedicata. Unica donna dell’isola ad avere questo onore. Unica committente donna.
Ma la chiesa è iellata. Crollata in più parti, ha conosciuto numerosi interventi di ricostruzione.
Ed è stata anche oltraggiata, la mia chiesa. Nella sua originalissima abside, ora semiottagonale, hanno osato compiere un assassinio, il 19 luglio del 1416.
Di un traditore, Valor de Ligia. Implicato nella congiura contro la casa d’Arborea, nel corso della quale trovarono la morte il Giudice Ugone III e sua figlia Benedetta, fu ricompensato per i suoi servigi dagli Aragonesi con l’investitura del marchesato del Barigadu, Curatoria di Guilcer. Ma quando si recò nella zona per prenderne possesso, gli ex sudditi della corona d’Arborea, lo uccisero proprio in chiesa, dove credeva di aver trovato scampo per il diritto di asilo, assieme a suo figlio Bernardo.
Quelle macchie scure che vedete sull’abside sono la traccia di quel sangue versato in un luogo sacro. L’impronta chiarissima della mano insanguinata è stata scalpellata via, dalla base della nicchia che accoglie San Pietro, per rispetto dei fedeli. Le altre macchie no. Sono un monito per ricordare la fine che fanno i traditori, per spingere gli uomini a percorrere sempre la retta via.
Nel 1923 i lavori per la costruzione della diga che avrebbe creato il lago Omodeo, prevedevano il sacrificio del paese dove l’edificio sacro è stato eretto, Zuri.
La mia chiesa fu smontata pezzo per pezzo, e, in due anni, ricostruita altrove, a monte, nell’area di Ghilarza, fuori contesto e con diverso orientamento.
Quasi senza fondamenta, in balia del tempo e della mano rovinosa delle intemperie.
Oltre alla figuretta scolpita, di me, rimangono solo una manciata di lettere impresse su un’epigrafe:
OPERARIA ABADISSA /DONNA SARDIGNA DE LACON/

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