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Storie mute - Fanciulla pensierosa agli scavi di Pompei by Red

Vi è mai capitato di rimanere muti di fronte a un quadro? Di rimanere ipnotizzati da uno sguardo dipinto che sembra raccontare mille storie e mille vite? Di avvicinarvi tanto da far suonare l’allarme per vedere, nitide, le pennellate, i colpi di spatola o gli schizzi di colore e ripercorrere attraverso la tecnica i gesti e i pensieri con i quali un artista ha creato la sua opera?
A me si, è capitato, anzi, capita quasi sempre.
Questa rubrica parla di questo, di storie suggerite dai soggetti dei quadri ai miei occhi e alla mia fantasia. Storie di donne, per mia scelta. Ma anche storie degli artisti che li hanno dipinti. Questo è il fil rouge che lega i racconti di questa nuova rubrica: sono storie di donne, di uomini e storia dell’arte: storie mute che provo a tradurre in parole. Per questo mese di settembre... ecco a voi 

Fanciulla pensierosa agli scavi di Pompei




Che caldo! Mamma mia buona che caldo! Mi odieranno le altre, ma non m’importa, io mi riposo. Poso la cesta per un po’ e sto qui a guardarmi intorno. E mi danno anche una mancia. La solita sgridata della zia è meglio con la mancia che senza, no? “Cosa guardi? Svergognata! Tu sei qui per lavorare, non per fare la signora! Che poi, una signora certe cose non le guarda! A confessare devi andare, svergognata! E inizia il rosario mentre porti la cesta!”
A lavorare serve la testa la testa alta e lo sguardo basso, bimba mia, diceva mia madre: la testa alta per non far cadere le ceste e le brocche, lo sguardo basso per evitare domande e problemi, e per non inciampare. Ma il mio sguardo non vuole mai stare fermo, e che sarà mai guardare un dipinto, che sarà mai fantasticare un po’? E poi come faccio a tenere gli occhi bassi se il cielo è così azzurro? E come faccio a non sbirciare questi muri colorati di vita? Ma saranno così anche oggi le case dei signori? Io le ho viste solo dalla strada, ed “è meglio così, figlia mia, fidati di chi conosce il mondo, è meglio non sapere cosa fanno i ricchi, quando si è poveri”. Ma io lo voglio sapere, e voglio sapere anche com’era stare qui prima che ci pensasse il Vesuvio a coprire tutti questi peccati. Mi hanno detto così le comari, che il Vesuvio ha coperto peccati e brutture che nemmeno si possono raccontare a una ragazza buona e timorata e mi hanno detto di lavorare e non guardare. E ancor meno pensare. Ma io voglio sapere, e poi a me sembra tutto così bello ed emozionante mentre vien fuori dalla terra questa città che nessuno vedeva più!
Sono più vivi questi muri delle pareti nude delle nostre baracche, gli affreschi sono rossi come rose appena sbocciate e a noi dicono di guardare la terra… Ma come si fa a resistere alla bellezza?
Ma poi, pensandoci, le signore qui stavano nude così per davvero? Eh… beate le signore di Pompei, belle, servite e riverite, mentre io devo star qui a spaccarmi la schiena e morire di caldo! Ho la gonna e la sottogonna e il grembiule ma son svergognata perché la tiro su per far passare un po’ di vento alle gambe. Ho la camicia e il fazzoletto ma non va bene perché ho tolto il corpetto. I ricci sudati mi sfuggono dalla crocchia e non si fa, non sono modesta… ma fa caldo, caldo e caldo! E a questo punto io la modestia non ce l’ho, io ho caldo! E se potessi mi farei un bagno alla fonte, più nuda della signora dipinta che mi guarda e mi sfida. Abbiamo il grembiule e il velo dello stesso colore, ma il suo è sottile come un soffio di vento, mentre il mio è rammendato tante volte quanti calli ho nei piedi. Eppure don Filippo guarda me e non lei… sono strani gli uomini, e i pittori di più. Ma lui guarda me e io posso stare ancora un po’ qui a guardare gli affreschi e sognare. Cosa diranno le altre non lo voglio sapere anche se temo che mi toccherà di sentirlo. Ma intanto sto qui a pensare a com’era un tempo e a quanto è bello ancora… E mi prendo anche la mancia!


“Don Filippo grazie! Don Filippo, voi siete un angelo! Don Filippo, mi farete vedere il quadro?” Aveva ragione il mio amico Fiorelli quando mi ha consigliato di far posare lei. Mi ha detto che ogni volta che visita lo scavo la nota tra le altre mentre osserva le rovine. Aveva ragione, è così ingenua e bella, di una vitalità commovente in mezzo a tanti ruderi. È così primitiva e selvaggia che non differisce ritrarre lei o la natura. Pensa alla morte, alla vita che passa, guarda l’infinito? Guarda l’orizzonte? Voglio che rimanga in questo istante sospeso. Ah, devo comperare della terra di Siena, ne servirà tanta.

Filippo Palizzi – Fanciulla pensierosa agli scavi di Pompei. (Olio su tela, 1865)

“…Oh che quadri magnifici si potrebbero fare, che paese, che animali magnifici, che pascolano vicino a un capitello, ad un frammento di colonna; insomma che vi è da fare, cose dell’altro mondo che nessuno ha fatto ancor perché non le vedono…” scriveva Filippo Palizzi al fratello Giuseppe nel 1855, raccontandogli del suo viaggio a Roma. Dieci anni più tardi realizzerà questo suo desiderio di accostare in una composizione le antichità alla vitalità della natura in questa scena di vita dagli scavi di Pompei, in quegli anni in grande fermento grazie all’impulso che diede la nomina a direttore di Giuseppe Fiorelli. Il quadro appartiene a una collezione privata ed è attualmente visibile presso la mostra “Pompei e l’Europa. 1748-1943”. Del quadro esiste anche una versione del 1870 intitolata “gli scavi di Pompei”, che differisce solo in alcuni particolari, soprattutto nella resa degli affreschi. 

Commenti

  1. racconto veramente bello e suggestivo!!!!!!!!!! :)))))))))))))!!!!!!

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    1. Grazie!!!
      Potresti fornirmi anche tu una signora dipinta da raccontare... :)

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  2. racconto veramente bello e suggestivo!!!!!!!!!! :)))))))))))))!!!!!!

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