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Il luogo degli addii - by Red





È una strana parola “addio”, si fatica a pronunciarla. Mette tristezza, ansia, ci accompagna per tutta la vita eppure è difficile capirne profondamente il senso. 
Negli addii dovrebbe risiedere la più grande certezza del ritrovarsi, perché non si affida il prossimo incontro all’incostanza del volere umano o alla giostra degli eventi del mondo, ma a Dio. Letteralmente ci si dà appuntamento in paradiso, forse è questo che ci angoscia. Perché chi non crede nel Paradiso sicuramente troverà che dire addio sia come dire una bugia e chi invece ci crede, magari nel dirlo sente di pronunciare un solenne “memento mori”. Eppure, nel dirsi addio, ci si arrende al fatto che gli incontri, quelli veri, avvengono tutti nello spazio dell’anima, della sensibilità. Quando si fa un incontro in quello spazio cambia tutto. Che si incontri una persona, un luogo, una musica, un libro, un profumo, un sapore, un gioco o il vento di maestrale, gli incontri veri generano un addio già nel momento della loro nascita. Perché gli incontri veri ti cambiano, o meglio, ti aumentano. Nasciamo felici e spensierati ma lacunosi: ci mancano troppi paesaggi, visioni, voci, occhi, risate, paure, case, paesi, colori, opinioni, litigate, profumi; nasciamo senza carezze, senza farfalle rincorse, senza tramonti, senza fiori da succhiare, senza bacche di mirto, senza ginocchia sbucciate, e nonostante questo siamo noi, e stiamo bene. Dal primo incontro vero non saremo più gli stessi, senza poterci fare nulla. E questo è molto bello. 
Iniziamo presto a far l’amore con la vita, a farci penetrare e seminare di incontri che generano nuovi noi, che riempiono gli spazi vuoti di un puzzle misterioso e ci rendono più compiuti e belli. Così quando dobbiamo salutare le consuetudini ci sentiamo perduti, perché dovremo aspettare un altro luogo per ritrovare le persone, gli abbracci e i luoghi con cui tanto intimamente ci siamo uniti. La verità è che loro sono parte di noi, e non se ne andranno mai. L’addio è a noi stessi, perché nel giorno in cui un rituale tutto nostro, che ci rendeva felici, finisce, ci rendiamo conto che non siamo più gli stessi di prima. E non torneremo mai più come eravamo prima di quella stretta di mano, di quella corsa a perdifiato nella macchia mediterranea, prima di aver visto quel mare, di essere entrati in quella chiesa, prima di esserci sporcati con quella terra, di essere andati a quella cena, di aver fatto quella passeggiata nel parco, di aver bevuto quel bicchiere di vino, di essere saltati dentro ad un mondo inventato, di essere partiti, di essere tornati. Solo noi siamo diversi, le cose a cui pensiamo di dire addio vivono dentro di noi, ci riempiono gli occhi, la pelle, il naso, la bocca, le orecchie, ci fanno traboccare l’anima e anche se a volte è scomoda tutta questa sovrabbondanza, è grazie a loro che ogni tanto qualcuno ci dice che il nostro sorriso è bello e il nostro sguardo profondo. 
In tanti mi dicono che nulla è eterno, che gli amori finiscono. Io non ne ho mai visto finire uno, cambiare di forma si, ma mai finire. In tanti consigliano di non voltarsi mai a guardare indietro, ma i ricordi non sono zavorra, sono pezzi di vita. Proprio per questa profonda unione tra noi e le nostre esperienze, per questa, perdonate il tecnicismo archeologico, stratigrafia dei sentimenti e degli amori tatuata nella nostra anima, non dobbiamo avere paura degli addii. Proprio perché gli incontri si trasformano in noi stessi e non ci abbandonano possiamo permetterci di consolare chi, salutandoci anche per un tempo breve, per la prima volta proverà cosa vuol dire la nostalgia. Grazie alla conoscenza del luogo degli addii che abbiamo dentro possiamo spiegare a chi ancora non lo sa che non si può ritrovare ciò che non si è perso, e che il sorriso del ritorno splende più di mille stelle.
Se poi proprio vogliamo spegnere il colore di tutti quei fili che la vita ci ha intrecciato all’anima… forse si, si può fare, anche se io non ci tengo. Ci deve essere il luogo dell’oblio al polo opposto del luogo degli addii. Ma non deve essere un posto rosso, io non l’ho mai trovato.

P.s. by Pink: "È l'ora dell'addio, fratelli, è l'ora di partir; il canto si fa triste; è ver: partire è un po' morir. Ma noi ci rivedremo ancor, ci rivedremo un dì, arrivederci allor, fratelli, arrivederci sì." Ecco, non credo che esistano gli addii in senso stretto, esistono più gli arrivederci. Anche nel punto del massimo addio in fondo si da un arrivederci, e se non c'è nulla dopo nessuno è tornato indietro per dircelo. Diciamo che credo quindi nei luoghi dell'Arrivederci perché "addio" è un termine troppo definitivo per appartenere alla sfera del terreno. Nessun filo che tessiamo può mai essere reciso del tutto e fra mille anni qualcuno potrebbe ancora trovarne le tracce.




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