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L'appartamento tedesco. Tutti i colori di una cronaca tedesca

L'appartamento tedesco. Tutti i colori di una cronaca tedesca. - Limited Edition - 

Relazione finale
E prima che tutto diventi un lontano ricordo sdrucito dagli avvenimenti, ammonticchiati gli uni sugli altri per l’incapacità di gestirli e viverli per quelli che sono, cosa resta di questi anni dell’Appartamento tedesco?
Il moto rabbioso di realizzare sé e per vedere fin dove si può arrivare sorvolando su paure e dubbi, se esiste un posto in cui stare bene e verificare di che pasta si è fatti, se chi dice male ha ragione e chi dice bene torto e se si riesce a realizzare qualcosa.
L’eterna metafora del viaggio umano nello spazio, con mete luoghi vicini o distanti, nel tempo, a ritroso o nel futuro, in compagnia o da soli, cioè sempre da soli o al massimo in compagnia di sé, e nella meraviglia, per conoscere popoli sconosciuti o approdare sventurati su isole deserte.
In questi anni si è appreso tanto, si sono conosciute diverse persone, si sono viste nuovi posti, pensato molto e sperimentati tanti numerosi nuovi e diversi sentimenti.
A volte è proprio vero che bisogna andare lontano per smascherare chi si è veramente. L’ultimo degli ultimi, non si è casa neanche altrove, non c’è a questo mondo proprio nessuno che si chini con una carezza esclusiva, l’inabilità a stare al mondo unita all'inadeguatezza davanti alle proprie aspirazioni e il miraggio di un qualcosa si sgonfia assieme all'idea di sé.
Si è scoperto di non avere più le forze di ribaltare il risultato, la tenacia e la determinazione verso il traguardo prefissato, che non si sa più sognare e progettare il futuro con castelli in aria cercando di porvi le fondamenta verso terra.
È successo come se i pericolosi maroni della quotidianità avessero catturato con i loro flutti l’avventato nuotatore che si è spinto troppo a largo dalla costa. Alla fin fine, pur di non soccombere schiacciato dalle forze della Natura, il disperato si è abituato pure a farsi trascinare da quel moto spontaneo per andare avanti e vedere dove si approda.
Eppure il confronto con una realtà “superiore” rivela inesorabile quanto si vale e allora, dopo un onesto esame di coscienza, si sa comprendere che va bene così.
Non si può fare altrimenti, meglio atterrare volontariamente sulla realtà con i propri errori. Ci vuole fegato per guadarsi dentro ogni sera e ogni mattina allo specchio. È una questione di dignità, innanzitutto di fronte a sé stessi.
Anche si erra per infinite lande infestate di briganti e draghi non si è un eroe.
Non si poteva fare di più ormai. Anzi, visto che si è avuto fin troppo rispetto a quello che si è e si è dato, si accoglie quanto vissuto e ricevuto come un dono inaspettato, un qualcosa che, se si fosse migliori, si sfrutterebbe convenientemente ma che non si può fare a causa della propria debolezza congenita.
In fondo non c’è niente di male nel cadere nella polvere senza potersi rialzare. La sconfitta fa parte del gioco. Saper ammettere la superiorità dell’avversario e l’equità del risultato senza imputare qualcosa all’arbitro o al destino cinico e baro segnato dalla linea di porta. Non c’è fuorigioco svisto che possa giudicare una lagna.
A volte ci si pensa come impegnati nella corsa sulla banchina di una stazione nella corsa dietro a un treno, quello dei desideri. Ma è ridicolo. Il capostazione non urla la partenza ai viaggiatori ritardatari perché quel treno non è mai arrivato e non partirà mai. È un treno fantasma. Non c’è. La locomotiva non sbuffa e le rotaie del convoglio non mordono i binari. La corsa in una stazione affollata non significa, perciò, che ci sia il treno – ma quale? – pronto a fermarsi per noi ma soltanto la voglia di viaggiare e di andare dove non si è stato mai.
Non è sano o igienico vivere in un mondo parallelo fatto di idee o illusioni inscatolare pronte da mangiare e offrire senza fatica ma per alcuni è – giustamente – preferibile così, con tacita consapevolezza o lampante avventatezza. Altrimenti significherebbe non sopravvivere all’orribile verità di sé e del mondo. Infatti, per quale motivo lo si fa se non per arrivare nelle migliori condizioni possibili al momento fatidico?
Allora, è stata una missione impossibile contro il nemico interno che ha fatto scoprire la propria piccolezza e pochezza, perdere il lato più lucente per avere in cambio un momento di gloria bigotta, lasciarsi sfuggire contatti, diluire affetti e rallentare care amicizie senza per questo dimenticarle e trovare degni sostituti.
Dietro il mantello di velluto rosso trapuntato di brillanti si cela pertanto lo strazio più profondo di un paesaggio desolato di rovine e disgrazie, la desolazione di un deserto dalle cui dune affiorano tracce di ciò poteva essere stato, l’inganno di una fuga pietosa chissà per fondare cose su sabbie mobili, il vuoto appagamento di un desiderio oscuro, la volontà di dimostrare l’esistenza di sé e che si è in grado nonostante tutto quello che non va.
In ogni modo è sempre la cosa migliore che si doveva intraprendere e che va ripetuta cento volte. Provare come si può a vivere ancora un po’ e non sentirsi morire inesorabilmente dentro. Che vita è senza provare e come si vuole?
E allora? che cosa resta?


Paul_Blau_Vierzig

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