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Diara


Ci fu un tempo lontano in cui le fate intrecciavano la storia degli uomini, e la magia vegliava sui regni. C’era in quel tempo, in un luogo lontano, un regno in cui le fate avevano regalato alla prima regina il potere di colorare le cose con la forza del suo amore e la magia della sua fantasia. Grazie allo sguardo amoroso della regina la corona del re brillava d’oro lucente, grazie ai suoi occhi di fata il grano imbiondiva ogni anno e l’uva diventava a settembre nera e succosa, con un sorriso civettuolo le vesti delle donne rivaleggiavano con i fiori dei campi per bellezza e grazia. E questo potere, trasmesso di madre in figlia, rendeva quel regno un’oasi di felicità ed armonia.
La principessa Maisha, che vuole dire Vita, era bianca come il latte e aveva capelli biondi come stelle. I suoi occhi scuri come la notte brillavano come la rugiada del mattino. La sua bellezza superava ogni pensiero umano e le fate la lodavano oltre ogni confine. Quando arrivò all’età in cui doveva prendere uno sposo fu indetta una gara tra tutti i principi e i giovani del regno e dei regni vicini. Chi avesse portato in dono alla principessa i colori più splendidi avrebbe avuto la sua mano.
Venne un ricco mercante con un forziere splendido d’oro e pietre preziose. Ma l’oro allo sguardo della principessa divenne opaco come il sudore nelle miniere lontane.
Venne il figlio del più potente dei re e portò una spada lucente di bronzo ancora rossa del sangue dei nemici. Ma allo sguardo della principessa il bronzo divenne la cenere di un villaggio di ribelli raso al suolo.
Venne un povero giardiniere con in mano una rosa. Era rossa più di un rubino e aveva foglie verdi che brillavano come mille smeraldi. Il suo stelo era bruno come la terra scura, come la terra fertile quando in autunno cadono le foglie. Quando la principessa posò su di lui il suo sorriso il cappello di paglia divenne la ricca corona per il nuovo re e il castello fu pieno di grida di gioia.
Furono celebrate le nozze nella più grande felicità e presto Maisha, Vita, sentì che dentro di sé cresceva un nuovo dono, Diara. Maisha volle che Diara avesse la pelle scura, bruna come fertile terra, occhi brillanti come verdi foglie e i capelli rossi come la rosa che per lei aveva colto il suo amore. E così Diara nacque e crebbe per i suoi primi anni circondata da amore e colori.
Ma l’invidia del potere rifiutato crebbe ancor più grande di Diara, e armò l’esercito del più potente dei re. Fu impossibile per la regina Maisha difendere il suo regno, che mai aveva avuto bisogno di armi e mai aveva combattuto una guerra, ma prima che la lama delle spade si abbattesse sul sorriso della famiglia reale, le fate misero in salvo la principessina. Quando la battaglia cessò tutto era cenere e polvere e Diara ormai era sola nel mondo.
Le fate credevano che la piccola Diara avrebbe restituito i colori al suo regno e che tutto sarebbe tornato come prima, ma la solitudine e la nostalgia avevano tolto i colori dal cuore della principessa. Così le terre rigogliose e verdi rimasero nere e dure, gli abiti delle donne non erano più tessuti di fili d’oro e trapuntati di fiori; dagli alberi non pendevano frutti rossi e succulenti e le acque dei fiumi riflettevano sempre un cielo denso di nubi.
Tuttavia Diara crebbe forte e bellissima: i suoi capelli rossi e i suoi occhi verdi facevano ricordare al cuore del suo popolo che la bellezza e la felicità erano ancora possibili.
Quando giunse il tempo di dare un nuovo re al regno, le fate tornarono al castello per bandire la gara tra i principi e i giovani audaci che volevano ottenere la mano della principessa: chi avesse portato al castello i colori più belli sarebbe diventato re.
Giunsero al castello oro e pietre preziose, uccelli e orchidee da ogni angolo di mondo, sete dipinte e vetri colorati, preziose spezie dalle Indie e frutti tropicali, ma nulla faceva brillare di gioia il cuore di Diara.
Per ultimo giunse un giovane nato nel suo stesso giorno. Era cresciuto solo, dopo la grande battaglia che aveva distrutto il regno, rifugiandosi tra le mura del castello. Aveva lavorato duro con i suoi compagni per ricostruire il regno e le sue case, animato sempre da una speranza nel cuore: la bellezza e la forza sarebbe tornata a far splendere il regno e la fiducia del popolo avrebbe reso a Diara il sorriso. Giunse allora al castello con un grande specchio che un tempo aveva avuto preziose cornici d’oro, preda del terribile saccheggio del più forte dei re, lo porse alla principessa e lei dopo anni si vide. Vide i suoi capelli rossi, vide il verde dei suoi occhi, la pelle scura come un fertile terra. Vide i colori che avevano fatto innamorare sua madre e ricordò. Si accese il suo sorriso e il regno divampò di bellezza infinita.
Si celebrarono allora le nozze e Diara chiese come dono alle fate che mai più i colori potessero abbandonare il suo regno: chiese di perdere il suo enorme potere perché mai più il seme della gioia abbandonasse la sua terra, nemmeno dopo il più terribile lutto.
Fu così che da allora i papaveri a primavera dipingono i campi, il cielo ogni giorno si colora di rosso al tramonto, e le stelle trapuntano il cielo anche nei giorni più difficili. Da allora le fate, silenti, assistono felici alla magia dei colori che esplodono, nascoste nei sorrisi che sbocciano tra le lacrime.

Epilogo.
Questa storia nasce dalla collaborazione con Le Pupe di Olga, piccole e meravigliose bambole fatte a mano con amore e fantasia. Oggi Diara, la bambola che ha ispirato questa storia, ha gli occhi del colore della terra scura: ha donato il suo verde brillante a un germoglio nascente.

Se volete vedere le altre creazioni andate sulla pagina facebook Le Pupe di Olga

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