L’augurio di un’isola.
In questo anno un po’ strano, diverso, di cambiamenti, alcune cose non sono mutate. O magari cessate, come in molti ci auguriamo. Le donne, continuano quotidianamente ad essere vittime, di abusi, di violenza, di morte. Sono gli uomini che fanno loro del male. I loro stessi uomini. Troppo spesso. Con una reiterazione crescente, mi pare, e un proliferare di modi sempre più inquietanti. Ed allora che male c’è, per chi è per lo più stanziale, come me, a fare un volo con la fantasia e cercare un luogo vero, ideale per le donne, dove stare a nostro agio, rispettate e libere di vivere senza paura. Dove le donne hanno una propensione naturale a sostenersi, a fare squadra. L’attenzione mi è caduta su un isolotto poco vistoso, appena ventotto chilometri quadrati, un po’ troppo a nord, per i miei gusti, nel mar Baltico, ma invitante.
Si trova in Estonia, Kihnu, l’isola delle donne. Un pugno di abitanti, circa seicento, ma il bello sta nel fatto che gli uomini, impegnati nella loro occupazione tradizionale, vanno per mare a pescare le aringhe. Stanno fuori a lungo. Insomma è un regno al femminile. Una schiera di matriosche, queste creature, di tutte le età. Indossano l’abito tradizionale ogni giorno, non in occasioni particolari. Prevalgono i toni accesi del rosso, la camicia candida, l’uso del foulard in tinta, la gonna ricca e variopinta, tessuta a mano. Questo indumento rivela straordinarie similitudini con le gonne delle donne del Perù, sulle Ande. E ci fa sognare impensabili connessioni di popoli nel passato. E perché no? Il mare è luogo di incontro, da sempre.
Il loro è un mondo variegato, dalle molteplici attività, in strettissimo connubio con la tradizione, che loro, le donne estoni dico, preservano non con la memoria, ma vivendola. Ecco perché, dal 2008, l’Unesco se ne è occupato. Qui sopravvivono riti, oralità, capacità tecniche e artigianali che sono parte del Patrimonio materiale e immateriale dell’Umanità. Pare eternarsi, qui, la storia. Scorrere sonnolenta, sorniona e godereccia. Si vedono sfrecciare residuati bellici, sidecar, stracolmi di visi tondi, bianchi e rosa, incorniciati da stoffe rosse ondeggianti alla brezza marina. Mongolfiere le gonne gonfie di vento, che nascondono a mala pena gambe agili che inforcano moto sgangherate o balzano alla guida di un trattore, in un intrico di sterrati polverosi. Tra un frastuono di gabbiani dalle dimensioni spropositate. Le poche case tinte in colori pastello, al cui interno regna una policromia vivace. L’isola non è dotata di alberghi in senso proprio. Qui si alloggia, con grande allegria, nelle abitazioni private realizzate in legno. Un tuffo nel passato, un’atmosfera che ricorda i tempi dell’Armata Russa. La cura di una quinta teatrale allestita da un formidabile trovarobe. Si parla un dialetto unico. Unici sono i riti legati al matrimonio ed alle maggiori festività, unici i ricami. Pane nero, patate nere, latte appena munto, aringhe affumicate, burro, caviale e birra. Qui si pratica ancora il baratto, ma la connessione internet è ottimale. Cresciute nei limiti materiali imposti dall’autarchia, queste donne forti svolgono ogni genere di attività, con slancio e serenità, cantano e sanno suonare il violino. Non gradiscono che si parli di loro come di una società matriarcale, dicono che si danno da fare, e si aiutano da buone sorelle, si stimano, tutto qui.
Già questo sarebbe sufficiente per spingerci ad andare nel golfo di Riga, un tempo, meta frequentata più da balene che da uomini.
Questo è il regalo che vorrei fare a tutte le donne, questo Natale. In particolare alle nostre lettrici e amiche. Di trovare un luogo, un’isola di Kihnu, nel mondo di ognuna di noi. Una donna, amata e sorretta decuplica le sue potenzialità, fiorisce, non avverte la stanchezza. Si, fiorisce. E vedrete che prato dai mille colori. Iniziamo subito.
Buon Natale
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