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Il Tesoro delle Janas



Tanto tempo fa, o forse ieri, quando in Terra di Sardigna gli uomini vivevano in pace e in armonia con la Natura, si dice che fosse facile per i pastori, o per le donne che andavano alla fonte, incontrare le Janas. Le janas erano donne bellissime, ma molto minute: sapevano filare e tessere, fili d'oro e stoffe preziose; cavalcavano bianchi cavalli dalla lunga criniera; conoscevano i rimedi di Natura e curavano con le erbe; danzavano, suonavano e cantavano. Si diceva che fossero le figlie predilette della Luna, nate da un suo candido raggio, filtrato tra le fronde dei boschi di lecci.
Più tardi, quando i villaggi degli uomini si spostarono all'ombra dei Nuraghe, si dice che le Janas si ritirarono a vivere in piccole case scavate nella roccia. Presero a cavalcare i loro destrieri solo la notte e, durante il giorno, andavano nei boschi a filare e tessere, in compagnia di un cagnetto che abbaiava tre volte, se veniva qualcuno. Da allora gli uomini iniziarono a pensare che le Janas fossero fate e che nascondessero un immenso tesoro.

Tutti volevano vedere le Janas per avere una parte del tesoro: una moneta o una stoffa preziosa, lo sgabello d'oro su cui sedevano nel bosco o il telaio d'oro sul quale tessevano. Ma il cagnetto svolgeva bene il compito, abbaiava tre volte, e le Janas si nascondevano leste. La notte, poi, erano i bianchi cavalli, veloci come il vento di maestrale, zoccoli a s'arrevexiu, che facevano perdere le tracce se qualche giovane balente osava seguirle. Fu così che tutti percepivano la presenza delle Janas, vedevano le tracce del loro passaggio, ma più nessuno era in grado di avvicinarle e parlarci, come nei primi tempi della vita in Terra di Sardigna.

Un giorno venne dal mare un vecchio viaggiatore. Si diceva fosse molto furbo e avesse visto con i propri occhi le Porte che separano il Noto e l'Ignoto. Di sicuro aveva girato tutti gli angoli del Mondo conosciuto e sapeva molte cose. “Se volete trovare i tesori nascosti dalle fate, – andava dicendo – dovete farle avvicinare da una coppia di bambini. Solo gli innocenti possono vedere le Janas!”.
Gli uomini si fecero suggestionare e convincere dalle parole del vecchio forestiero e così fecero. Prepararono un bambino e una bambina e li accompagnarono al limitare del bosco con un agnellino e una capretta. Dissero loro: “Se viene una bella signora non vi spaventate. Solo, offritele la capretta e l'agnellino e chiedete che vi doni il suo telaio d'oro”.

Venne una Jana, con il suo cagnetto. Ma questo non abbaiò tre volte, come al solito. Prese a scodinzolare e a giocare con i bimbi. Incuriosita la Jana si avvicinò e, con una breve risata, lieta come il tintinnio di un campanellino, accolse i doni. Poi portò i bambini con sé nel bosco, giocò con loro, diede da bere acqua freschissima delle fonti e da mangiare piccoli dolci di pasta ricamata con il cuore di mandorla e miele. La sera raccontò storie mai udite e la notte, al chiarore della Luna, cantò la Ninnananna più dolce e più lieve che una voce di donna potesse mai aver cantato.
La Jana guardava i bimbi con occhi amorevoli: avrebbe voluto tenerli con sé, ma pensò che non poteva far questo agli uomini. Così, all'alba del giorno seguente, li accompagnò dove finisce il bosco. I bambini chiesero in dono il telaio d'oro.
“Non vi darò il telaio, nelle mani degli uomini diventerebbe di legno, – disse la Jana – ma ho preparato dei doni per voi!”.
Diede loro una stoffa ricamata, preziosa come l'oro e fine come la tela di un ragno, e un sacchetto pieno di monete tintinnanti. Li salutò con un bacio di rugiada sulla fronte e con un bianco sorriso di luna. E li lasciò andare.

I bambini avevano fatto solo pochi passi.
Un cagnetto abbaiò. Abbaiò tre volte. Felici, si voltarono insieme, per salutare una volta ancora la bella signora. Ma c'era solo il bosco, là dietro. Cercarono a lungo con i loro occhietti curiosi tra l'intrico dei rami, ma non riuscirono a scorgere nessuno.
Tintinnava, intanto, nel vento, una risata lieve come un campanellino.

Da quel giorno, mai più nessuno, vide le Janas.

La tradizione sarda è ricca di racconti sulle fate, Janas e Fadas. In essa è comune ritrovare contatti tra il mondo fantastico e gli uomini, quasi fossero due realtà parallele, che si sfiorano, convivono, ma la cui interazione è limitata, come guardarsi dal buco della serratura o salutarsi da una rete... Una cosa è certa: questa modernità e il mondo fantastico sembrano lontani. Si cercano, forse, ma non si trovano. E, quando l'innocenza è perduta, le Janas sanno aspettare senza smettere di tessere bellezza per il mondo. Al reale, invece, rimane scegliere la via e domandarsi se l'innocenza, recuperata, possa essere ancora una via percorribile per un mondo migliore, dove chi è cieco vede, chi è muto canta e chi è zoppo possa danzare insieme agli altri nel grande cerchio della Vita!

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