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L'appartamento tedesco. Tutti i colori di una cronaca tedesca

L'appartamento tedesco. Tutti i colori di una cronaca tedesca - Limited Edition- 
Occhi da orientale
Era iniziata come una scorribanda o un arrembaggio piratesco, in fondo con il genuino desiderio di compagnia ma senza crederci sul serio. Quante conoscenze vuote e vacue che hanno lasciato amarezza nell’animo e incattivito l’anima, nonostante la prontezza di essere sempre curiosi e cercare di conoscere e comprendere AltrI, la disponibilità di mettersi in discussione e di correggersi o lo slancio di andare oltre sè stessi.
Un bel sabato pomeriggio di settembre: dopo la solita spesa e la scrittura pomeridiana in biblioteca, un appuntamento in Uniplatz alle ore 16,30 quasi mancato, forse, con l’inconscia volontà di non farlo ma di sicuro senza troppo impegno. Due occhi castani a mandorla e un sorriso dolce in un viso vivace e simpatico animato da una voce lieve che declina abilmente Wörter con accento cinese.
Un boccale di succo di arancia di fronte un tè multivitaminico ai tavoli all’aperto in compagnia degli uccellini invadenti e sotto le fronde verdi di Marstallhof mentre nuvole cariche di pioggia, sospinte da un vento sempre più teso, si addensano in un cielo azzurro, preludio dell’autunno imminente nell’aria fresca. Una piacevole chiacchierata di due stranieri in lingua tedesca per circa un’oretta sui propri piani in HD, con racconti dei propri interessi, delle rispettive esperienze in Germania, a Stuttgart e Berlin, e delle opinioni su quegli alieni germanici.
È (stato) raro trovare in questa città, fatta di stranieri autoctoni e del mondo, una persona che intendesse condividere tante cose con autenticità, apertura e simpatia così da affievolire la diffidenza sorta da esperienze passate. Ma è davvero così penoso essere veri o soltanto un po’ più umani in questo posto? Era così difficile trovare qualcuno così normalmente speciale? Si può comprendere, ma talvolta bisogna pure provarci.
La giornata è stata ideale, costruttiva e piacevole, eccezione della routine e sorprendente per le belle sensazioni lasciate nella mente e nell’anima. Una brezza estiva in ritardo e fuori contesto da respirare a pieni polmoni sulle rive del Neckar. Possibile?
Eppure non è il caso di farsi strane idee. Va bene vedersi ancora già domani nell’Appartamento tedesco per continuare, ma in fondo non c’è nessun significato e nessuna particolare aspettativa. In ogni modo un’altra bella chiacchierata è gradita con chi ha argomenti diversi e simpatia. Un perfetto equilibrio interiore.
Una domenica simile ad altre per ritmi e attività: sveglia presto, colazione abbondante, ginnastica di un’oretta, rasatura della barba, pulizie generali, pranzo leggero con le classiche focacce, gettare l’immondizia ben differenziata e una breve pennichella, mentre fuori il cielo muta colore da azzurro a grigio per innaffiare i prati e i boschi delle colline vicine. Nel frattempo arriva al cellulare la conferma per l’appuntamento alle 16.
È tutto pronto, in ordine ormai. Ci sono le tazze e i cucchiaini per il tè, il tè, lo zucchero e biscottini, il bollitore è carico e non manca neanche l’attesa. Ma ecco un nuovo messaggio: il temporale frena il suo arrivo, aspetta sotto la pensilina della fermata Jahnstrasse che la pioggia si quieti. Retropensieri di ripensamenti, può capitare ma nessun problema. O è senza parapioggia e si deve andare incontro sfidando le intemperie del meteo e della mente?
In ogni modo, intanto, non c’è il tempo di decidere, pochi istanti ancora ed è qua. Quel viso vuole buffamente giustificare senza necessità un ritardo comprensibile. L’acquazzone incessante ha caricato di goccioloni l’ombrello e l’impermeabile. Entrare e sedersi, mettere l’acqua a bollire per scaldarsi un po’.
Una rara presenza estranea nell’Appartamento tedesco. La decifrazione del suo nome da imparare nonostante la proposta di una variante più semplice da pronunciare, la passione per il pianoforte visibile nelle classiche dita affusolate delle due manine, la provenienza da un’importante famiglia iscritta al partito comunista locale, l’opposizione al governo cinese e l’inutile riabilitazione dei suoi pensieri per una settimana in un commissariato della polizia, l’ammissione anche a università americane e la decisione di studiare in Germania, il desiderio di imparare l’italiano nel prossimo semestre e, per concludere, l’illustrazione del Shī Shì shí shī shǐ. Sic!
Tè, biscottini, il mio vicino rumeno che porta in dono la metà di una Linzertorte (ma perché ti nascondi? Non c’è niente di male), la pioggia che scroscia per smettere e riiniziare, e l’ipnosi veicolata da una voce suadente, che usciva da un sorriso amabile e lucente, e dai movimenti aerei delle sue mani, come imbarazzate per non poter pigiare a tempo i tasti della tastiera bianca e nera.
E allora come un gatto afferra con le zampette il filo rosso, bianco, verde o blu che gli si muove davanti al musetto curioso per stuzzicarlo così… non era più possibile rimanere inerti di fronte a quel volteggio elegante e gradevole alla vista. In fondo era soltanto un modo per ridere di quell’abitudine, o tic, rinfacciato subito come tipico degli Italiani. Che mani soffici e tiepide.
Ma tra una cosa e l’altra si è fatto tardi. È quasi l’ora di cena. Un semplice invito a trattenersi che dimentica il vuoto del frigo e l’incapacità di improvvisare e cucinare. Però si può razionare qualcosa, si arrostiscono le salsicce speziate, si tagliano più pomodorini, carotine e mozzarelle, c’è formaggio, frutta e qualche fetta di torta. Se si vuole ovviamente.
Assistenza ai fornelli per far finta che c’è fiducia, mangiare con appetito, parlare affabili e abbandonare con pigrizia i piatti e le posate sul tavolo e sul lavello. L’ospite ha priorità, ha ancora molto da raccontare senza più essere ascoltato ormai.
Si sono fatte le nove da un pezzo e c’è ancora la voglia di giocare e la proposta di un bel esercizio di lettura in italiano tanto per impratichirsi è un divertente diversivo: parole scandite con chiarezza anche di fronte ai gruppi consonantici più complessi. E che armonia nella monovibrante uvulare ostentata con giusto orgoglio. Che effetto strano.
Eppure, più passa il tempo e più preme il rovello di cosa succeda in realtà: come mai una così lunga permanenza, quale significato abbia quel modo socievole e aperto? Inutili o fondati dubbi?
Parla e riparla e quelle mani ripigliano accorte il loro volteggio. Basta con i fingimenti. Perché lasciarsi stringere e accarezzare le palme e le dita chiacchierando del più e del meno con gli occhi fissi verso lo sconcerto? E avvicinarsi sempre di più con le parole che si fanno lente o piane, sintagmi, sillabe, mozziconi…? Prendere sempre maggiore confidenza fino a trascinarsi verso il letto per chiacchierare più comodi e stretti? Accarezzarsi e smetterla di fiatare con un cuore a mille e un altro quieto ma gioioso?
Domande prive di risposte anche negli istanti indagatori di un viso che non rivela nessun pensiero ma forse solo disorientamento per lo svolgimento della cosa e che così non oppone nessuna obiezione. O si è fatto finta di non comprendere per prolungare fino all’ignoto quella giornata e per spingersi verso quelle cime ambite da ogni essere umano?
Già si è andato troppo avanti per fermarsi e si è fatto troppo tardi per tornare indietro, no? Non ci sono più Straßenbahn per la via di casa e lo Sturm e il Drang hanno disfatto e rifatto le predilette lenzuola a righe viola, fucsia e bianche fino a inoltrarsi alle due di notte. “Il re delle tre è sveglissimo” e non cerca che sé domandandosi perché…
È l’alba di un altro lunedì e fa freddo. Dalla finestra, rimasta socchiusa di notte per rinfrescare gli spiriti e raggelare i piedi, si sentono gli uccelli degli alberi di fronte. La pioggia è finita là fuori e il letto è troppo piccolo nell’Appartamento tedesco. E allora? Cosa si fa qui?
C’è chi ha da fare esperimenti a metà mattina, chi deve scrivere intensamente fino a tardi. Si fa la guerra solo perché si ama stipulare di nuovo la pace. Sdraiata ancora sul letto, la voce ammonitrice e profetica degli abissi dell’anima mette in guardia a chiare parole dalle persone cattive del passato-futuro e rivela sibillina le piccolezze umane di questa parte di mondo.
L’acqua della doccia scorre mentre la colazione è pronta per grandi appetiti sorridenti: tè, toast, marmellata, prosciutto, formaggio, yogurt, succo di frutta, torta...profumi e vapore. Ricorda: se la perfezione non è di questo mondo non va citata. Si parlerebbe per condividere ancora qualcosa, opinioni e sensazioni, ma è tempo di andare. Un momentaneo saluto ravvicinato, l’ombrello scordato, l’inutile citofono guasto, rincorse per le scale, gli ascensori che fanno su e giù, siamo ancora qua chiusi in un mistero e doppia mandata all’Appartamento tedesco fischiettando.
Ma sul più bello i pensieri inconfessati e i dubbi ricercati nelle espressioni facciali nascoste sono scovati in messaggi silenti, sfuggenti, influenzati x 2 (mannaggia alla finestra aperta) e spezzati fino a che, pochi giorni dopo, a cena in una bel venerdì di settembre, una spiegazione terrificante da far pensare strano, sentire franare il terreno sotto i piedi e domandarsi se per caso fosse stato il momento sbagliato, un imbroglio reciproco oppure una beneficenza affettiva. Niente di tutto questo? Tutto assieme? Forse soltanto la causa involontaria di dolori interiori indicibili protetti dallo spirito di (auto)tutela di non (farsi) trascinare e illudere in uno stato di insicurezza e angosce. O è meglio credere così, con l’illusione premurosa di poter affrontare insieme la questione incompresa oppure con l’ammissione di doppia idiozia e la preghiera infinita di un’ulteriore chiarimento, a causa della suddetta doppia idiozia, e di un sincero perdono postumo.
È chiaro dunque che non si può odiare, nonostante il dispiacere lancinante e l’amarezza di fondo che condisce una solitudine quotidiana (anche mertitata) incommestibile. Di sicuro, un giorno, alla sofferenza subentra una consapevolezza che conserva ogni cosa senza omissioni e fa desiderare di saltare il fosso. E, in ogni modo, nel tentativo di vivere ci si può ferire e pure morire. Così, tra mille morti e rinascite e nel desiderio di cancellare la peggiore parte di sé per far fiorire una stella dal caos che ognuno ha dentro, con la tristezza per il passato e la paura per il domani, si va avanti unicamente come si può.
Un venerdì svogliato di febbraio dopo l’ennesima caduta: la salita a Bunsengymnasium sul 32 ignorandosi vilmente, alle due estremità dello stesso tavolo della Mensa mentre un imbecille, pure lui dai tratti somatici orientali, sarebbe da affogare nel boccale d’acqua dello “Scherzo della Natura” o tramortire a morte con una fetta di torta al limone e, ancora, un incrocio sugli scalini dell’UB mentre il cielo si fa plumbeo. Tenere il portone aperto, “Edipo Re” che passa sbadato senza dare la precedenza, faticare a riconoscere chi sta entrando, sentire una mano che stringe il braccio destro senza fermarsi, mettere a fuoco lo sguardo…ma perché? Grazie.
Che quel viso apparso troppo serio pochi giorni fa in Uniplatz, dopo falsi avvistamenti in tanti di altra gente per strada, sia in realtà, o possa tornare a essere, luminoso e felice con chi può volergli bene. Con quelle manine svolazzanti.


P.s. Personaggi, luoghi, giorni, orari, avvenimenti, pensieri, sensazioni, domande, punti di sospensione e superflui dettagli sono frutto di fantasia.

Paul_ Blau_Vierzig

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