...perché per te
per ogni donna
la Luna rimarrà per sempre
ciò che ti narravano, bambina
tra le braccia della mamma o della
nonna...
L'attesa non è mai
lunga, quando giunge sera.
Puoi trovarla in cielo, o
all'orizzonte, o riflessa sul mare o in uno specchio d'acqua. Certo è
che la sua luce, in un modo o nell'altro ti rapisce e ti porta con
sé. O scende, entra ad illuminare il buio della tua notte e proietta
ombre sulla parete della stanza dove ti sei rifugiata. E nelle ombre
c'è una storia, come in quelle proiettate attraverso la pellicola
che scorre, al cinema.
Scorre la storia. Quella
del mondo. E la tua.
Era stato caldo
quell'inizio d'autunno. Troppo caldo. E troppo buio. Soffiava vento,
ma veniva da Sud, carico di umidità. C'erano stati lunghi giorni
senza cielo, grigio di giorno e viola la notte. Senza cielo, senza
sole e senza stelle. Prometteva pioggia, ma non la dava: e si restava
così, rivolti al cielo, aridi e assetati. Così gli uomini, così
gli alberi e gli animali. Così le donne. Così la terra.
Uscì di casa quella
sera, in preda a una smania che era bisogno d'aria e di spazio. Non
c'era rumore, se non quello dei suoi passi sul selciato. Ritmico.
Come il martellare del cuore nel petto e il respiro che le sfuggiva,
soffiante, dalle labbra socchiuse. Camminava senza meta e si trovò
ai piedi del promontorio che sovrasta la città, da un lato, e
all'opposto il golfo. La salita era erta: di quelle che tagliano le
gambe come il curvone e la successiva “esse” tagliano il fianco
della collina, prima di condurre in cima. Ma decise di affrontarla.
Ne valeva sempre la pena, pensò, e sarebbe stato così anche quella
sera. Da lassù il mondo è un altro e lo si può stringere da tutte
le direzioni in un unico abbraccio.
Si sentì sfiorare il
viso da un alito di vento e fu invasa dal profumo dei pini, misto a
quello dello stagno e poi, in fondo, del mare. Fu come una carezza
lieve, di benvenuto. Di quelle che non si fermano all'epidermide del
viso, ma scendono nel profondo, fino a sfiorarti il cuore, a bussare
alla sua porta, perché si schiuda. E, in quell'alito di vento si
sentì a casa, come non le capitava da tanto tempo, in nessun luogo
dove si trovasse, compreso il suo letto. Proseguì con più lena,
aveva fretta di raggiungere la cima. Dietro di lei scoppiava un
tramonto più rosso del fuoco, più fluente della fiamma che danza
nel camino, quando aggiungi legna buona e l'avvolge tutta,
circondandola di braccia affusolate e di lingue saettanti. Dovunque
posasse lo sguardo era bellezza immensa e doveva fare uno sforzo
sovrumano per non fermarsi lì, a riempirsi di quei colori, come se
non dovesse esserci un domani; a strappare pezzi di cuore e
recuperarli dai recessi di quell'orizzonte infuocato, che l'aveva
rapito e voleva farlo suo per sempre.
In cima prese fiato e
riposò gli occhi e l'animo stanco, lasciandoli vagare sul mare e sul
cielo, ormai buio, ad est, laddove il creato aspettava già che fosse
un giorno nuovo, che giungesse mattina. Voci di umanità. Echi
lontani di vita. Il rumore del traffico o lo starnazzare di gruppi di
giovani appostati a far niente sul ciglio della strada, tra salita e
discesa: consci solo di sé; né degli amici con cui dividevano il
tempo, né dello spettacolo che il cielo offriva in quel momento. Si
distrasse. Diede un occhio al cellulare. C'erano dei messaggi, che
lesse, una chiamata a cui non aveva risposto, ma che decise avrebbe
recuperato più tardi; si perse per qualche minuto nelle notifiche
dei social, scorrendo verso il basso, senza fretta e senza interesse,
la bacheca di facebook.
E quando alzò lo
sguardo, lei era lì. Immensa, bianca e rotonda. Luminosa, le
sorrideva, la Luna!
Fu un tuffo al cuore, un
trovar senso a quella sorta d'ansia da appuntamento che l'aveva
accompagnata per tutto il giorno. Si guardarono a lungo. E lei si
sentì di lasciasi scrutare, di non ritrarsi, di rilassarsi, di
lasciar cadere le barriere. Stava lì, ferma e vuota, a vedere cosa
sarebbe successo ora. E provava solo uno stupore grande e nuovo, che
le muoveva corde invisibili, tese chissà dove nell'intrico delle sue
viscere di donna. E da quelle corde iniziarono a volare note, sempre
uguali, ripetute a ritmo di una nenia d'infanzia, di filastrocche
lontane nel tempo, perdute nel vento.
E si ricordò di un tempo
che non aveva vissuto, sulle ginocchia di una vecchia, ad annusare un
profumo buono di fiori di gelsomino. Ad ascoltare storie.
Ormai la mente era in
moto e cominciò a ragionare. Le passarono davanti le leggende della
sua Terra, i chiari di luna della sua vita, le lacerazioni che
avevano segnato, quando da lassù, Luna, muta, stava a guardare, e
accompagnava, bianca e algida, i fiumi di lacrime calde che bagnavano
e aravano il suo viso. Le venne in mente il giorno che lei, la Luna,
sorse rossa e fu come un abbraccio caldo, di riconciliazione.
Si alzò il vento mentre
si guardavano a vicenda. Aprì le braccia, desiderosa di volare. E si
ricordò dei racconti delle fate: le Janas chiedevano alla Luna la
capacità di raggiungere altri luoghi lontani...
Luna luna, para luna
Paristella, luna bella
Uve ses? In muntanna
Sennor'Anna, s'ebba mia
mi che jucat in Baronia
Le
labbra s'erano mosse da sole e le parole erano fluite leggere al
ritmo della filastrocca, udita chissà quando, chissà dove. E mentre
rifletteva, altrettanto leggeri fluivano i desideri che non aveva più
il coraggio di pronunciare, perché non s'erano mai avverati. Così
li aveva lasciati a se stessi, ad amuffire, chiusi a chiave in un
cassetto buio e dimenticato, nei recessi di ciò che era stata, ormai
tante e tante vite fa, quando giocava spensierata, e la sera, sola
sul balcone, reinventava storie. Quelle storie che le avevano
regalato, ognuna a suo modo, le Donne della sua infanzia, miste a
insegnamento e gesti di cura.
Cosa
rimaneva di quel tempo che fu, di quei desideri, degli insegnamenti,
di quella vita felice?
Per
scoprirlo si sarebbe dovuta guardare a lungo in fondo agli occhi,
fino a scavare in ogni sguardo negato e distolto, per troppa fretta,
per pudore, per disaccordo o disapprovazione. Non aveva uno specchio,
ma c'era lei, là davanti, Luna, più luminosa che mai, più
accogliente di sempre, le sorrideva. Così fecero un patto e
intrapresero insieme la ricerca di ciò sembrava perduto, ma
semplicemente, ora lo intuiva, era diventato terra della sua terra.
Covava nuova vita in fondo al suo essere, e germinava continuamente
per poi germogliare e mettere radici e fiorire e dare frutti e cadere
in quella sua terra. E ricominciare da capo, ad ogni stagione, ad
ogni nuovo ciclo che veniva ad abitarla.
Cosa
rimaneva di quel tempo che fu, dei desideri, degli insegnamenti, di
quella vita felice?
Cercarono
insieme, tra le nebbie della coscienza che si addensavano e
diradavano, nel riposo di quei momenti, nel silenzio che ora regnava
sovrano. Cercarono e trovarono mille gesti di cura che lei perpetrava
ogni giorno, appresi in quel tempo lontano, ed ora reinventati,
riscritti, moltiplicati, donati. A piene mani, con cuore largo.
E
iniziò a riconoscersi, a vedersi bella. Lei. Proprio lei. Com'era
ora, come era sempre stata!
Rinnovarono
il patto, lei e la Luna: ad ogni andare avrebbero liberato i
desideri, avrebbero dato loro ali, per diventare grandi e volare
lontano, dove l'aria è più fina, dove nasce il vento e si respira
l'immenso. Ad ogni ritorno, invece, lei, la Luna, le avrebbe messo
sul tavolo un po' di realtà, le creature nate da quel desiderio,
perché potesse vederle e toccarle con mano. E ninnarle in un
abbraccio avvolgente. E cantarle con un canto lontano.
Come
faceva da bambina, insieme alla mamma e alla sorellina... quando in
cielo splendeva la luna:
Luna luna
bettamind'una
in pitz'e sa mesa
Luna bellesa.
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