“Sardigna no est Italia”, dico
sempre ridendo, ma ridi e scherza è proprio così. Perché abbiamo tradizioni così
antiche, così ibride e così orientali, che ci troviamo un capodanno ormai
misconosciuto a settembre, noi che la tradizione bizantina non l’abbiamo mai
scordata e ci portiamo nel nome di Cabudanni i segni di un calendario ricalcato
da quello ebraico. Che poi è molto più saggio, perché poche cose si iniziano sotto la
neve di gennaio, ma tutto si inizia con la fine dell’estate: oggi soprattutto
la scuola, gli anni accademici, le stagioni sportive, ieri soprattutto i cicli
della vita contadina. E in Sardegna l’8 settembre, sotto la protezione benevola
della Madonna, che proprio in quel giorno festeggia il compleanno, pastori e
agricoltori rinnovavano i contratti per il loro nuovo lavoro.
Ecco dunque il mio contratto per
il prossimo anno, secondo le cui regole proverò a gestire la mia casa e il mio
tempo.
Non sarà mia la terra dove
camminerò e lavorerò, ma ne sarò ospite grata e la custodirò con cura.
Non la recinterò, perché tutti
possano entrare. Segnerò sentieri che portano alle piante più belle e ai frutti
più gustosi, metterò sulle strade di pietra briciole perché gli uccelli possano
mangiare e petali, perché l’andare sia più lieve.
Canterò alla terra, perché possa riposare
e lentamente rinascere, l’accarezzerò, perché si senta amata, non temerò di
apparire sciocca percorrendola scalza, perché i gesti d’amore non devono temere
la follia.
Al limitare dei terreni posti
sotto la mia custodia pianterò gelsomini e mughetti, perché le donne che
passano possano ornare i loro capelli e i bambini ne imparino il profumo,
piante di frutta perché tutti possano mangiare.
Metterò brocche colorate vicino
alle fonti, perché per tutti sia facile bere.
Farò crescere per me e per gli
altri grazia e bellezza, la spargerò in ogni luogo, la regalerò. Ornerò la mia
casa di ironia, farò in modo che il suono delle risate percorra l’aria
superando i miei confini.
Cercherò la pace, ogni giorno, a
ogni ora. Parlerò per raccontarla, agirò per costruirla, le offrirò un posto
dove rifugiarsi, pregherò per lei, accoglierò chi la desidera.
Perderò tempo, chiacchiererò di
tutto e nulla, berrò a lungo caffè ristretti, mangerò cose buone e di stagione,
prenderò molto sole in faccia, sonnecchierò all’ombra, dipingerò pensieri con
gli acquerelli, racconterò immagini.
Coltiverò forza e coraggio, ma
proteggerò la fragilità.
Mi innamorerò ogni giorno, e ogni
giorno lavorerò perché nessun nuovo amore si spenga. E più un amore sarà strano
e impossibile, più lo amerò.
Conoscerò mondi nuovi senza mai
dimenticare la mia madre, la mia isola di terra e vento.
Pagherò in abbondanza tutti i
lavoranti che vorranno offrire tempo e braccia al mio campo, non li froderò,
farò che il lavoro di tutti sia leggero.
Aspetterò ogni tramonto e mi
incanterò ad ogni notte, darò un nome a ogni stella.
Farò la mia terra patria di
sogni, rifugio di speranza. Paese abitato da matti che credono nell’impossibile,
da poeti apolidi.
Questo è il mio progetto fino al
prossimo raccolto, che spero sia buono ed abbondante.
Se la terra vorrà che un piccolo
angolo di sé sia così abitato e coltivato… dica solo “lo voglio”: io ho già
messo la firma!
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