La notte prima degli esami non è solo una notte. Sono notti
e giorni. O almeno così è stato per me.
Gli esami, quelli della canzone, la maturità classica tanto
aspettata… così tanto che la notte prima degli esami non ne potevo più, di me,
dei professori, della scuola, dei compagni, del mondo, del telefono che
continuava a squillare.
Era l’anno della riforma, il primo anno senza il 36, il
primo con il 100. Tutte le materie, tutte le materie, tutte le materie. Su RAI
3 la notte prima degli esami c’era uno speciale di Serena Dandini fatto apposta
per ricordarcelo, con er Piotta come ospite. Che Dio la benedica, ne avevamo
proprio bisogno, ancora la sto ringraziando!
La notte prima degli esami fu un gelato del pomeriggio in
piazza Yenne, tiramisù e panna, tanta panna “ché sei magra e hai la faccia
stanca”. Furono ore di fuga al mare, dopo giornate a ripassare storia e a
spiegare matematica, con i libri però, che in quei giorni davano più sicurezza
di una copertina di Linus, pronti a rispondere a dubbi atroci ed estemporanei
ad ogni ora, non “come le chiese quando ti vuoi confessare”. Concentrazione di
gruppo e Atena che abbaiava all’improvviso da sotto il tavolo, tramonti dal
bastione di Santa Croce, giri su un’Y10 blu e un’autoradio che prendeva solo
radio Maria.
Caldo, quanto caldo la notte prima degli esami, a studiare
scalza seduta sulle scale di casa! Litri d’acqua, the freddo alla pesca e
caffè, ciliegie e gelato. Telefonate. Ad ascoltare le paure di tutti, a calmare
ansie, a svolgere al meglio il ruolo di “Oracolo di Delfi”, meritato in cinque
anni di duro lavoro. La telefonata di Andrea: “dimmi che almeno tu sei
tranquilla… Parliamo d’altro?” che bello, che respiro!
Il lungo week end elettorale tra la seconda e la terza prova
scritta: la mia prima x su una scheda per dire la mia, al pari di tutti “gli
adulti” che stavano lì a guardare, consigliare, pazientare, dire la loro. La
domenica andai a votare pensando che per la Repubblica Italiana avevo gli
stessi diritti della mia prof di greco, e mi sentii molto soddisfatta.
La lunga attesa tra gli scritti e gli orali, la lunga attesa
del Rockaralis Festival, all’antivigilia della mia interrogazione, quell’orrido
spauracchio con tutte le materie. Il concerto dalle tre di pomeriggio alle tre
di notte, il pogo e l’assolo di Omar Pedrini su Boccadoro. Il silenzio del
pubblico, le stelle, con me i compagni di classe e la sensazione che forse no,
non ci saremmo persi.
L’ultimo ripasso, altre telefonate, e l’ultima delle notti
prima degli esami, che non so come feci, ma feci le quattro. La notte che non
volevo dormire, il the alla pesca e la compagnia di mia sorella grande (non
semplicemente maggiore, grande), Violet, a leggere un’ultima volta la traccia tutta
mia che univa Asclepiade a Kandinskij, in cerca di animi d’artisti grandi che
si sentivano piccoli di fronte a un mondo che si faceva all’improvviso immenso
nei suoi vorticosi cambiamenti. E io mi sentivo un po’ così, in quella notte in
cui non volevo andare a dormire e rileggevo i versi che mi facevano impazzire:
“bevi Asclepiade. Perché queste lacrime? Che t’accade?” e non importa se bevevo
the freddo e non vino, e se il groppo in gola non era amore ma la sensazione
bellissima e malinconica che dopodomani sarebbe stato tutto diverso. E poi
“cosa mi metto?”. E la decisione di vestirmi con i suoi vestiti, di Violet,
intendo. Perché non è che avessi paura, ma un po’ anche si, e vestirsi con i
panni di qualcun altro vuol dire
portarselo un po’ dietro. Non lo sapeva nessuno che anche io avevo un po’
paura, o almeno tutti sono stati al mio gioco e hanno fatto finta di credermi. E
per questo sono grata a tutti. Perché vi spiego una cosa, e sarà il mio unico
consiglio ai giovani maturandi di oggi: non fidatevi di chi fa il duro a
posteriori, solo perché è sopravvissuto. Ognuno ha diritto alla sua fetta di
paura, facile o difficile che sia la sua prova, ognuno può sentirsi per un
giorno i più tartassato degli studenti e non ci sono tempi andati che tengano,
non per me, non per voi, né per nessuno. Ognuno ha la sua notte prima degli
esami e quella notte sarà sempre “ancora nostra”.
E poi venne la mattina. Ero l’ultima del primo giorno di
tutte le materie: gli esaminati veri erano i professori, che non passarono
l’esame, calibrando i tempi in maniera terribile. Entrai alle due e mezzo.
Parlai di Kandinskj, con amore sincero. La commissione parlò delle mie unghie,
con la sufficienza con si parla di un vezzo adolescenziale: non avevano capito
nulla, non sapevano distinguere l’essenza dai preconcetti, e le mie unghie ancora
svettano lunghe e perfette. Ora che ci faccio caso anche oggi nere, come quel
giorno.
Il giorno dopo andai presto dal dottore, che mi disse che la
mia pelle aveva bisogno di stare per un po’ lontano dal mare. Così il mio esame
continuò fino all’ultima interrogazione dei miei compagni. Penso che feci
compagnia a tutti, feci forza a tutti, andai a comprare the freddo alla pesca a
tutti.
Ma quel che ricordo furono due abbracci: uno con il mio
compagno di classe, accompagnato da un sorriso di felicità pura e due parole:
“siamo fuori!” e l’altro della bidella, Bona. Altre due parole: “mi mancherai”.
E con lei piansi… lei lo sapeva che anche io un po’ avevo paura!
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