Era il 22 luglio 2011 e il mio primo post sulla Rassegna Stronza chiedeva "Qual è la ricetta della felicità?"
Che fosse tempo di ripartire, e ripartire bene, ché questa
stronza creatura colorata ha ancora tante cose da dire, lo sapevo bene. Ma non
sapevo altrettanto bene come.
Poi l’ho capito.
Rewind.
"Scusa, ma qual è la ricetta della felicità?"
Quanto tempo è passato? Il bar non esiste più da tanto, Red
e Pink non fanno più colazione insieme da un po’, l’ingegnere curioso chissà
che fine ha fatto.
Ma la ricetta della felicità qual è? Io ce l’ho? Ma siete
sicuri?
Io non tanto, ma pare che in questo ancora gli anni non mi
abbiano cambiata, e anche di questi tempi, all’improvviso, qualcuno mi dice che
dove vado porto il sorriso, che trasmetto “joie de vivre”. Uh, ma che bel complimento!
Penso io, forse immeritato, ma proprio bello. In fondo è ciò che voglio,
portare sorrisi. Allora un motivo ci sarà pur stato per quella prima, galeotta,
domanda di un avventore del nostro bar di fiducia. E di più, io, se il sintomo
persiste, da qualche parte questa benedetta ricetta devo pur averla.
La prima
ricetta che diedi diceva molte cose sensate, che ancora sottoscriverei. Ma ci
deve essere dell’altro. Se lei è lì, e mi esce dagli occhi a mia insaputa, ma
non ho neppure un attico vista Colosseo, ci deve essere qualcosa di più.
Eppure non ci avevo più pensato, me n’ero quasi dimenticata,
fino al mio incaponirmi sull’aprire una nuova pagina di vita della Rassegna, e
di farlo ripassando dal via, dal primo post che scrissi.
Ci provo, ci provo a cercare i motivi del mio sorriso. Può
esser utile per me e per voi.
La felicità non si lagna. Perché è istintivo brindare a un
nuovo contratto o al primo stipendio, ma il sorriso dipende dalla capacità di
brindare a ogni sveglia che suona alle cinque.
La felicità non è mai sola. Va trovata tra preoccupazioni,
impegni, distrazioni, vittorie sconfitte.
La felicità è delicata, si ferisce con niente. Ma è
fortissima, germoglia alla prima pioggia.
La felicità è strana, si accontenta di nulla, ma il molto
non le basta.
La felicità deve essere ben abbinata. Provate a bere un
nasco passito mentre mangiate carciofi. Fatelo mangiando pasta di mandorle. È
chiaro il concetto?
La felicità è in movimento. La felicità è una strada. Guarda
la meta ma non la afferra, le batte il cuore forte mentre si avvicina. Quando
arriva guarda nuovi traguardi, non si ferma davanti a nulla che sia prima o
meno dell’infinito.
La felicità è doppia. È amare e lasciarsi amare, perdonare e
farsi perdonare. Regalare e ricevere regali, cantare e ascoltare, spiegare e
imparare. A metà non funziona mai.
La felicità è preziosa. A volte per paura di perderla la si
nasconde, o per fare gli splendidi la si ostenta. Invece la si dovrebbe
indossare con semplicità.
La felicità è cantata, sperata, attesa, idealizzata, ma
quando ci prende per mano a volte neppure si riconosce che c’è.
La felicità è bella, e ha bisogno di bellezza. È buona, e ha
bisogno di bontà. È onesta, e ha bisogno di onestà, vera e ricerca la verità.
È semplice e si perde nei pensieri complicati, nelle trame e
nei ragionamenti eccessivi. Brilla nella corolla delle margherite, nei riflessi
del mare, sulle ciglia lunghe delle ragazze, nelle rughe dei vecchi, nelle
piegoline dei piedini dei neonati paccioccosi.
Si trova nelle cose piccole, mentre tutti la cercano in
quelle grandi. È negli abbracci, nel caffè, in un vestito nuovo. Nel rossetto
rosso, nella pizza con i cardi e il lardo al mirto, nel vino rosso, nel
cioccolato, nelle scarpe rosse, nei tramonti.
La felicità vive nelle idee e nei sogni. Quando nascono,
soprattutto, la sprigionano in forma di fuochi d’artificio. Quando
l’ispirazione ti prende e tu la segui, lei è lì nella sua essenza più pura.
Quando immagini del futuro ti si compongono davanti agli occhi e tu decidi di
realizzarle lei ti fa volare.
E poi bisogna volerla la felicità, bisogna farle spazio.
Metti che una mattina ti alzi da letto dopo una notte di
pioggia e inaspettatamente splende il sole. Metti che arrivi in cucina e trovi
un vassoio di culurjoneddos e’ mendula. Metti che ci sono i cardi in
preparazione, e il maialetto, e il mirto. Metti che è Santa Brigida di Irlanda
e ti vengono in mente le avventure della tua Rassegna. Metti che settant’anni
fa ci fu il primo voto per le donne in Italia, e te lo ricorda Violet. Perché
la storia è fatta anche di date felici e piene di speranza. Metti che anche se
il sole se n’è andato di nuovo ci sono ancora tanti sogni da realizzare, e
tanti progetti che ancora hanno un senso.
Potresti abbozzare un sorriso e dire “che vuoi che sia?”.
Altrimenti puoi abbracciare la felicità.
Questa è la mia ricetta.
Poi c’è il mojito!
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