Sono nata in una famiglia
cattolica, ma aperta, nella Chiesa italiana del post Concilio. Sono cresciuta,
i primi anni di vita, con due zie anziane che la fede la narravano e, prima
ancora di dirla, la vivevano.
Avevo sei anni l’anno che tutti
ricordano come quello dei “tre papi”. Ero piccola, quindi, ma non così tanto da
non avere un vago ricordo di Paolo VI, della sua figura essenziale. Ricordo i
trentatré giorni di Giovanni Paolo I e tutto il papato di Giovanni Paolo II. Non ho
conosciuto, invece, Giovanni XXIII. Non personalmente. Eppure, di lui, ho letto
molto. Ho visto i filmati d’epoca e sentito i suoi discorsi. Ho approfondito le
ragioni del Concilio. Ho visitato i luoghi in cui è nato. E da allora me lo
sento vicino. Come uno di famiglia. Un nonno, forse ancor più che un padre, ben
più avanti di me nello stesso pellegrinare che è la nostra fede. Perché il
padre, forte, deciso, negli anni della formazione, della giovinezza e della
prima maturità, è stato Giovanni Paolo II.
Giovanni Paolo II, appunto. Un
uomo che ho amato molto. Che ha segnato fortemente il mio approccio con la Chiesa , madre nella fede.
Un uomo che, come ogni padre, ho anche analizzato, criticato, demitizzato, ma
mai smesso di amare, nel cammino che porta a scegliere, ogni giorno, per trovare
le ragioni della fede e dell’appartenenza.
Forse questa è una premessa un po’
lunga. Ma essenziale per far comprendere ciò che dirò. Per capire il disagio
che provo oggi, alla vigilia della canonizzazione di due uomini che amo così
tanto da averli appena definiti un padre e un nonno. E vi dico la verità,
quando dico che mai e poi mai avrei pensato che un giorno così, se mai fosse
arrivato, non mi avrebbe riempita di gioia.
Non mi piace ciò che vedo. Per niente.
Non mi ci ritrovo, non ritrovo le ragioni della mia fede, della mia speranza. Le
ragioni forti dell’amore, in questo enorme palcoscenico che stiamo mettendo su.
Credo che non ci si sarebbero trovati nemmeno loro, quelli che vengono trattati
come fossero i protagonisti di tutto ciò: Giovanni Paolo II amava le folle e la
ribalta, era un grande comunicatore, eppure rimaneva un mistico innamorato
della Madre; Giovanni XXIII era un uomo semplice, più vicino al concetto di
prete di campagna che di principe della Chiesa, credo che si sarebbe
infastidito non poco a vedere che dopo la sua morte lo si metta di nuovo, suo
malgrado, su un piedistallo dal quale era volontariamente sceso in vita.
Dicevo. Non mi piace ciò che
vedo. Non mi piace questo grande affanno per una cosa, la santità, che dovrebbe
essere la regola del viver cristiano. E non solo perché la Chiesa, anche se fatta di
peccatori, è santa, ma perché anche noi battezzati siamo santi. Nella Chiesa
primitiva ci si chiamava fratelli e ci si considerava santi, perché nella
speranza cristiana si viveva della certezza di essere risorti nel Risorto. E,
se anche il cammino per la santità è lungo e in salita, le parole di Gesù, “siate
santi come santo è il Padre vostro che è nei cieli”, sono la meta della vita di
fede. E allora, perché tutta questa straordinarietà? Perché questo enorme
sottolineare una diversità, quasi a renderla meta inarrivabile? Non è
inarrivabile. Non è cristiano che lo sia!
Credo che il motivo risieda in un
altro atteggiamento che vedo. E anch’esso non mi piace. L’atteggiamento è
quello dell’idolatria. Lo so, idolatria è una parola forte. Pesantissima. Eppure
credo che per noi cristiani, forse più che per altre vie spirituali, questo
pericolo sia sempre in agguato. Anche nei termini. Nelle parole che si usano
per parlare di fede, di santi, di Dio. Questi giorni più che mai. “La Chiesa fa santi due papi!”,
è un annuncio comune che si alza da più parti. Falso. La Chiesa al massimo riconosce
che un percorso di fede, cioè un patto d’amore tra Dio e degli uomini, è stato
condotto fino in fondo con fedeltà, sicuramente da Dio, che è il fedele per
eccellenza, e anche dagli uomini in questione. Riconosce che questo cammino è
stato percorso dentro la tradizione della santa Chiesa di Dio. Riconosce che è
un cammino buono perché dà frutti buoni e sottopone queste persone ai fedeli,
come esempio. Come fratelli maggiori nella fede.
“Il miracolo di Giovanni Paolo II”.
Altra affermazione falsa. Ai limiti dell’idolatria. Dio solo fa miracoli. Lui solo
può tutto. Perché Lui solo è Dio e noi, tutti, anche i santi, siamo uomini.
E qui mi sorge un altro dubbio. Profondo.
Difficile. Domenica scorsa era Pasqua. L’avvenimento più grande e importante
della mia fede. Gesù si consegna, muore e risorge. E tutta l’umanità risorge
con Lui. Perché a Roma, il centro della cristianità, a festeggiare con il papa,
non c’era nemmeno la metà dei pellegrini attesi per domani? Cos’è più
importante? Qual è l’evento centrale della mia fede? Il problema è che, se
mettiamo al centro Dio e la resurrezione, dobbiamo mettere al centro il
vangelo. E la nostra umanità. Dobbiamo mettere al centro la nostra fragilità e
la ricerca costante di strade perché la resurrezione sia visibile nel mondo, attraverso l’amore reciproco vissuto da noi cristiani, così come ci chiede il
vangelo. Osannare il santo è mettere al centro la gloria. Quasi che la santità
fosse cosa nostra. Quasi che, ma sì, se sono fortunato, potrà capitare anche a
me di diventare un santo famoso e alla moda! Con milioni di pellegrini.
E poi c’è un’ultima cosa. La
metto ora, alla fine di questa riflessione ad alta voce, perché è seria, ma
meno importante. Non mi piace lo sfarzo. Le spese eccessive. Il commercio. Non mi
piacciono i soldi che girano attorno a questo evento, io che vorrei una Chiesa
povera e sorella negli incroci delle strade del mondo e che ringrazio papa
Francesco per il coraggio di mettere al centro del suo messaggio le periferie
della terra. Non mi piace il disturbo che stiamo arrecando al mondo, con la
nostra presenza. Noi che dovremmo servire e non essere serviti. Ma soprattutto
non mi piacciono le luci della ribalta. L’immagine di potere e di prestigio che
ne vien fuori.
Così domani starò a casa. Anzi andrò
a messa, come ogni domenica. Perché è Pasqua. A ringraziare per la settimana
trascorsa. A nutrirmi di Uno che lava i piedi e muore in croce. Di uno che
Risorto prepara il cibo per i suoi. E dice: “Fatelo anche voi”.
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